Il sistema di tutela degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali si è caratterizzato per una evoluzione piuttosto lineare, oltreché attenta a preservarne gli equilibri finanziari. Essa fu prevista alla fine del diciannovesimo secolo, con il moltiplicarsi degli infortuni sul lavoro, conseguenza inevitabile dell’avvento delle macchine nel mondo del lavoro e della produzione. La legge 80 del 1898 impose ai datori di lavoro dell’industria l’obbligo di assicurarsi per la responsabilità civile dei danni derivanti dagli infortuni sul lavoro di cui fossero rimasti vittima i loro operai, estendendo la tutela anche agli infortuni non determinati da colpa dello stesso datore di lavoro, bensì derivanti da caso fortuito, forza maggiore e colpa non grave del lavoratore.

Questo obbligo di assicurazione era fondato sul principio del rischio professionale, per cui il datore di lavoro deve sostenere, con il pagamento del premio assicurativo, le conseguenze negative del verificarsi del rischio dell’infortunio. Negli anni successivi, la tutela per gli infortuni sul lavoro estese progressivamente il suo ambito di applicazione e assunse caratteristiche pubblicistiche sempre più marcate. Dapprima, essa venne applicata anche ai lavoratori dell’agricoltura; poi nell’oggetto della tutela vennero ricomprese anche le malattie professionali; infine, la sua gestione venne affidata in via esclusiva ad un ente pubblico, l’attuale INAIL, introducendo nel contempo il principio dell’automaticità delle prestazioni.

Con l’entrata in vigore della Costituzione, anche il compito di realizzare la tutela per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è stato affidato allo Stato, trattandosi di soddisfare un interesse pubblico di tutta la collettività, finalizzato alla eliminazione di una situazione di bisogno. La tutela di cui trattasi continua a conservare una propria specificità. Per chi si trova in condizioni di bisogno a causa di un infortunio subito sul lavoro è riservata una considerazione particolare ed una tutela più intensa. Dunque, con l’accoglimento dei principi costituzionali, anche il principio del rischio professionale, posto a fondamento della tutela, assume un significato diverso, dovendo essere inteso come criterio per giustificare una tutela privilegiata per tutti quei lavoratori che subiscono un evento dannoso connesso allo svolgimento dell’attività lavorativa.

Coerentemente, la competenza attribuita all’INAIL di gestire, in regime di monopolio, la tutela di cui trattasi non è stata ritenuta contrastante con le regole comunitarie sulla libera concorrenza, in quanto tale gestione non costituisce attività di impresa, ma una forma di tutela esclusivamente sociale, fondata sul principio di solidarietà. L’intervento dell’assicurazione esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro. Tale esonero, però, non opera nel caso in cui una sentenza, civile o penale, accerti che l’evento lesivo si è verificato per fatto costituente reato perseguibile di ufficio, imputabile alo datore di lavoro o a suoi preposti.

In questo caso, l’INAIL può agire nei confronti del soggetto responsabile dell’infortunio con l’azione di regresso, nei limiti dell’importo della prestazione erogata. La disciplina dell’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile, fondata su una logica di compromesso, non contrasta con i principi dettati dagli articoli 3 e 38 della Costituzione, in quanto i vantaggi della tutela previdenziale continuano a giustificare le limitazioni poste al diritto del lavoratore infortunato o malato al risarcimento integrale del danno subito.

L’articolo 38, comma 2 della Costituzione, nel sancire il diritto dei lavoratori a che siano assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita anche in caso di infortunio, non opera alcuna distinzione né tra le diverse tipologie di lavoro, né tra lavoratori più o meno esposti al rischio di infortunio. Tuttavia, la tutela apprestata dal legislatore non ha mai avuto carattere universale. Tale tutela trova applicazione soltanto in relazione a determinate tipologie di attività considerate maggiormente pericolose e a determinate categorie di lavoratori.

In particolare, salvo per le attività agricole ove vigono regole specifiche, le attività pericolose sono individuate secondo tre diversi criteri. Il primo criterio è quello della cd. macchina isolata (o del rischio specifico o proprio), in base al quale sono tutelate le lavorazioni che comportano l’adibizione a macchine mosse non direttamente dalla persona che le usa, ad apparecchi a pressione, ad apparecchi ed impianti elettrici. La pericolosità della macchina sta nel fatto che il suo funzionamento può sfuggire al controllo del lavoratore che la deve manovrare.

È evidente, però, che questa giustificazione non è più configurabile, nella stessa misura, per le sofisticate e oramai diffusissime macchine elettriche ed elettroniche, anche esse ricomprese nella copertura assicurativa, ma il cui funzionamento non determina gli stessi rischi tradizionalmente prodotti da eventi traumatici. Il secondo criterio è quello del cd. rischio ambientale, in base al quale sono assicurate anche le lavorazioni che determinano la presenza del lavoratore in opifici, laboratori o ambienti organizzati per lavori, opere o servizi che utilizzino le suddette macchine, apparecchi o impianti. In questa ipotesi, quindi, ciò che rileva è che il lavoratore operi nello stesso ambiente in cui è situata la macchina ritenuta fonte di rischio.

Infine, con il terzo criterio, il legislatore detta un elenco tassativo di 28 lavorazioni che sono ritenute pericolose in via presuntiva, indipendentemente dalla sussistenza del rischio specifico o ambientale. Destinatari della tutela sono le persone cd. assicurate. Tra le persone assicurate, rientrano, innanzitutto, i lavoratori subordinati, siano essi impiegati od operai, rispetto ai quali rileva unicamente il fattore oggettivo dell’esposizione al rischio. In questo ambito, la tutela è stata estesa espressamente anche ai dirigenti, agli apprendisti, ai lavoratori a domicilio, agli sportivi professionisti e dilettanti, senza limitazioni con riguardo alla tipologia di attività svolta, ai lavoratori in aspettativa sindacale, nonché ai lavoratori italiani operanti all’estero, anche se autonomi. Inoltre, la tutela comprende anche numerose altre categorie di soggetti che non sono lavoratori subordinati, e a volte neppure lavoratori in senso proprio.

Così, sono tutelati, ad esempio, i lavoratori parasubordinati; i prestatori di lavoro accessorio, i lavoratori che svolgono attività in ambito domestico, anche essi a prescindere dalla tipologia di attività svolta, gli insegnanti e gli alunni delle scuole o istituti di istruzione di qualsiasi ordine e grado, i soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società, i ricoverati in case di cura, in ospizi e in ospedali, nonché in istituti di assistenza e di beneficenza, i detenuti in istituti di prevenzione o di pena. Continuano ad essere esclusi dall’ambito di applicazione dell’assicurazione, salvo alcune eccezioni (come, per esempio, gli artigiani), i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.

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