Anche per quanto concerne il rango spettante alle consuetudini le soluzioni offerte dalle “preleggi” si dimostrano troppo riduttive. Con quel fondamento, si potrebbe addirittura sostenere l’ammissibilità delle sole consuetudini secundum legem. In effetti l’art. 8 primo comma delle disposizioni preliminari al Codice civile afferma unicamente che “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati”; e se per “materie” si intendessero i vari settori dell’ordinamento giuridico, bisognerebbe escludere che sussista spazio per una normazione consuetudinaria indipendente.

Vero è che delle consuetudini integrative sarebbe dato ragionare in vista dello stesso art. 8 delle “preleggi”, sostenendo che esso presupponga l’esistenza di “materie” non disciplinate né in via legislativa né in via regolamentare. Se mai, proprio le norme consuetudinarie secundum legem sarebbero dotate di maggiore forza nei confronti di quelle integrative, giacché assumerebbero “l’efficacia stessa della norma rinviante”, legislativa o regolamentare secondo le diverse ipotesi.

Ad arricchire la tipologia delle consuetudini concorre l’art. 10 primo comma Cost., per cui “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Un’autorevole dottrina ritiene che si tratti di un principio implicante l’adattamento automatico del diritto italiano all’intero diritto internazionale. Ma la ricostruzione di gran lunga prevalente è invece nel senso che la conformità prescritta dalla Costituzione non riguardi i trattati, bensì le sole consuetudini internazionali.

Continua per altro ad imporsi il congegno dell’adattamento automatico: con la conseguenza che, ogniqualvolta si possa riscontrare la vigenza di una consuetudine internazionale, ad essa si conforma immediatamente il diritto interno. La corte costituzionale ha in sostanza fatto propria questa tesi, sostenendo che nei rapporti fra la costituzione e le consuetudini preesistenti andrebbe applicato il “principio di specialità”, con la conseguenza di risolvere gli eventuali contrasti a favore delle norme consuetudinarie.

Rispetto alle leggi ordinarie le norme di adattamento al diritto internazionale generale dispongono di una competenza costituzionalmente riservata. Pertanto le posteriori norme legislative contrastanti con le consuetudini in esame debbono ritenersi illegittime.

In secondo luogo anche le consuetudini costituzionali detengono un rango ben diverso da quello proprio degli usi. Occorre premettere che tutte le costituzioni scritte presentano lacune più o meno ampie, con particolare evidenza per ciò che riguarda l’organizzazione costituzionale dello Stato. Ma anche nel caso delle costituzioni “lunghe” come quella vigente in Italia, le lacune costituzionali non mancano e non sempre si prestano a venire colmate dalle leggi, perché la soluzione dei rispettivi problemi dev’essere a volte rintracciata sul piano costituzionale e non sul piano legislativo ordinario. Si danno anzi ipotesi in cui la Carta costituzionale sembra disporre in termini organici e compiuti, ma viene viceversa intesa dagli operatori come se si trattasse di un testo lacunoso.

Non tutte le lacune costituzionali comportano, però, l’insorgere di altrettanti consuetudini. In un primo tempo, quando ancora difetta il dato della costante ripetizione, in quegli ambiti sogliono formarsi puntuali convenzioni, vale a dire accordi fra i titolari degli organi costituzionali. Più di una di tali convenzioni di rivela in suscettibile di tradursi in consuetudine: sia perché non si presta a venire ripetuta, sia perché il termine convenzione può mantenere un valore puramente politico, senza integrare in alcun modo la Costituzione.

Ma laddove l’usus e l’opinio si combinano, le convenzioni si trasformano in fonti normative; ed è questo, di regola, il processo formativo delle consuetudini costituzionali. Non vi è dubbio che il procedimento di formazione del governo sia solo parzialmente regolato dall’art. 92 Cost.; ed è sostenibile che la Costituzione sia stata dunque integrata mediante consuetudini ormai stabilizzate da vari decenni.

Ora consuetudini siffatte non sono certo subordinate alle leggi ordinarie, bensì sopraordinate ad esse. Nell’integrare la Costituzione, tali fonti non pongono regole indifferenti dal punto di vista costituzionale, modificabili o derogabili ad arbitrio da parte dei medesimi soggetti o ad opera dei medesimi organi che le hanno poste in essere.

Non a caso, la prevalente dottrina ha sostenuto che i “conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato”, vadano affrontati facendo ricorso alle consuetudini che si fossero formate sul punto; e questa tesi ha trovato un preciso riscontro sua nella sentenza del 10 luglio con cui la corte costituzionale ha fatto applicazione dei “principi non scritti, manifestati o consolidatisi attraverso la ripetizione costante di comportamenti uniformi”.

 

Diverso, ma non del tutto dissimile nelle conclusioni ultime, è il discorso da svolgere per le cosiddette “consuetudini interpretative”. Tale locuzione è stata più volte utilizzata nella nostra dottrina, per evidenziare il fatto che tutte le norme giuridiche rivestono un senso preciso nel momento in cui sono interpretate ed applicate in un determinato modo piuttosto che in termini diversi. Ma anche in Italia non vi è dubbio che il momento applicativo delle varie fonti normative assuma una determinante importanza, sebbene il precedente giurisprudenziale non rappresenti a sua volta un’autonoma fonte.

Nel nostro ordinamento, quanto alle stesse leggi ed agli altri atti normativi, resta fermo cioè che il Parlamento e le diverse autorità emananti gli atti in questione determinano solo le disposizioni. Ma in vario senso può dirsi che le disposizioni non coincidono con le rispettive norme; ciò che più conta è che da ogni disposizione si possano ricavare alternativamente norme fra loro diverse. È un dato di esperienza che la norma vive, nella sua concretezza, “solo nel momento in cui viene applicata”.

Ed è un punto fermo che il Parlamento non può predeterminare integralmente il momento applicativo, sebbene le stesse disposizioni preliminari al codice civile impongano di intendere la legge nel senso “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”. L’interpretazione letterale e quella fondata sui lavori preparatori si rivelano spesso insufficienti e devono cedere il passo all’interpretazione logico-sistematica. Ed è per questa via che si realizza il distacco fra la disposizione e la norma, fra il diritto scritto e il diritto vivente, in ogni singolo momento storico.

Ciò non significa ancora che le “consuetudini interpretative” prodotte dalla giurisprudenza dominante vadano confuse con le vere e proprie fonti del diritto. Si tratta piuttosto dei concreti modi di essere delle norme giuridiche, contrapposte alle corrispondenti disposizioni normative, fermo restando che le fonti propriamente dette sono pur sempre le leggi, i regolamenti e via dicendo. Il che spiega come le “consuetudini” in esame non abbiano rango comune ma facciano corpo con le varie norme così ricavate.

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