Nel proclamare che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, l’art. 104 della costituzione risente senza dubbio dell’idea che uno stato di diritto debba fondarsi sulla divisione o sulla separazione dei poteri. Non devono essere toccati comunque alcuni valori: primo è l’indipendenza, riferita non solo alla magistratura come istituzione complessiva bensì ad ogni singola autorità giurisdizionale.
Qualora ciascun giudice non fosse indipendente nell’esercizio delle sue tipiche attribuzioni, non si conseguirebbe l’obiettivo dell’imparzialità o della “terzietà”. La parallela garanzia dell’indipendenza dell’istituzione e dell’indipendenza del singolo giudice concorre a far capire il perché la magistratura sia denominata ordine piuttosto che potere.
Ne segue però che il giudiziario si presenta come un potere diffuso, nell’ambito del quale tutti i giudici possono assumere la veste di “poteri dello stato”. Ed unicamente in senso riassuntivo si può dunque parlare di un potere giurisdizionale comprendente le autorità giudicanti di qualunque genere. Vero è che per “magistratura” s’intende il solo complesso dei giudici ordinari, istituiti e regolati da un apposito ordinamento giudiziario; ed è noto che i giudici ordinari non esauriscono la serie delle autorità giurisdizionali, dal momento che l’assemblea costituente non ha accolto il principio dell’unicità della giurisdizione.
Quanto invece ai giudici speciali, formati in via permanente al di fuori dell’ordinamento giudiziario. La costituzione si limita a vietarne l’istituzione ex novo. Dalla revisione sono state anzi esonerate le giurisdizioni del consiglio di stato, della corte dei conti e dei tribunali militari, che hanno in effetti un preciso rilievo costituzionale: in quanto regolate e previste dall’art. 103 della costituzione.
La pluralità delle giurisdizioni, fondata soprattutto sulla tradizionale contrapposizione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi nelle controversie riguardanti gli atti delle pubbliche amministrazioni, non toglie però che la disciplina costituzionale delle attività giurisdizionali rimanga fondamentalmente comune.
Vige in ogni caso il principio di riserva di legge, come risulta dall’espresso disposto dell’art. 108. più specificamente, tutti i giudici “sono soggetti soltanto alla legge”, in base al capoverso dell’art. 101 Cost., con l’implicito intento di escludere la loro soggezione all’esecutivo o ad altre autorità.
Con questo fondamento sono state annullate la norma per cui poteva fungere da giudice il ministro della marina mercantile; la disciplina che attribuiva ai consigli comunali e provinciali potestà giurisdizionali in tema di controversie elettorali riguardanti i consigli medesimi.
Certo è tuttavia che non tutte le norme costituzionali del titolo IV sono egualmente applicabili ai giudici ordinari ed ai giudici speciali; come pure ai giudici togati ed ai “cittadini estranei alla magistratura”, previsti dal secondo comma dell’art. 102 Cost. innanzitutto, il principio della nomina dei magistrati mediante concorso, fissato dal primo comma dell’art. 106, riguarda i soli giudici ordinari professionali. Si pensi ai giudici laici che possono comporre le sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari. In secondo luogo, si consideri il caso dei “magistrati onorari”.
Quanto alla magistratura ordinaria è pur sempre esclusa la nomina governativa dei giudici. Per contro, nomine del genere sono tuttora possibili nei confronti di giudici speciali costituzionalmente rilevanti, quali il consiglio di stato e la corte dei conti. Ma anche l’inamovibilità dei giudici speciali risulta spesso attenuata e comunque diversa da quella riguardante i magistrati ordinari. Basti pensare alla circostanza che soli per i primi la costituzione stabilisce che essi “non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del consiglio superiore della magistratura.