L’assemblea costituente si è limitata a configurare tre forme di referendum interessanti leggi dello Stato: quello abrogativo disciplinato dall’art. 75 Cost., per mezzo del quale gli elettori possono “deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge”; quello che in dottrina suole venire definito consultivo, con riferimento al primo ed al secondo comma dell’art. 132m quanto alle modifiche delle circoscrizioni regionali; e quello approvativo delle leggi di revisioni della Costituzione e delle altre leggi costituzionali. 

Ora, sia nel secondo che nel terzo caso, si tratta di referendum che s’inseriscono nei procedimenti formativi di leggi statali ordinarie ovvero di leggi costituzionali, concretizzando autonome fasi dei procedimenti stessi; sicché le vere fonti sono pur sempre formate, in entrambe le ipotesi, dalle leggi e non dai referendum che esse presuppongono. Nel primo caso il corpo elettorale non dispone se non dell’abrogazione o della permanenza in vigore della disciplina legislativa sottoposta al voto popolare: il popolo in tal modo esercita una funzione di controllo politico sulle scelte legislative delle camere.

Nondimeno prevale in dottrina l’idea che il referendum si risolva pur sempre, qualora gli elettori si esprimano a favore dell’abrogazione, in una fonte atto. In primo luogo però, il fatto stesso che dall’esito del referendum dipenda la permanenza in vigore di una legge induce a collocare i voti popolari abrogativi sul medesimo piano. In secondo luogo, l’abrogazione referendaria determina comunque “conseguenze modificative” dell’ordinamento. Anche in quest’ultimo caso, cioè, abrogare significa “disporre diversamente” facendo si che i rapporti già disciplinati dalle norme legislative abrogate ricevano differente disciplina.

Posto dunque che la deliberazione popolare abrogativa sia per definizione produttiva di diritto, la dottrina costituzionalistica è orientata a ritenere che, in tale evenienza, il referendum dia luogo ad un atto avente forza di legge ordinaria dello Stato. D’altra parte, nel qualificare l’abrogazione referendaria si dimostra determinante il fatto che “la delibera del corpo elettorale è destinata ad assumere la forma di decreto del capo dello Stato”. Ma ciò non forma ostacolo all’inclusione del referendum abrogativo fra gli atti aventi forza di legge dello Stato stesso, appunto perché spetta al presidente della Repubblica dichiarare “l’avvenuta abrogazione”; la quale “ha effetto a decorrere dal giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale”.

Rispetto alle leggi statali ordinarie ed agli altri atti governativi equiparati il referendum abrogativo subisce però una serie di limitazioni peculiari. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Da un lato cioè, la Corte ha ritenuto che certe leggi o certe materie, eccedenti le previsioni costituzionali siano implicitamente escluse dall’ambito delle consultazioni referendarie. Tali sono anzitutto gli atti legislativi dello Stato “dotati di una forza passiva peculiare” e sotto questo aspetto “assimilabili alle leggi costituzionali”, come nel caso delle leggi di esecuzione dei Patti lateranensi; tali sono ancora le “disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato”, l’abrogazione delle quali ripercuoterebbe sulle corrispondenti norme costituzionali; e tali infine, vanno considerate le leggi così strettamente connesse a quelle testualmente indicate dall’art. 75 secondo comma, che la loro sottrazione al referendum “debba ritenersi sottintesa”,come nel caso delle norme legislative di esecuzione dei trattati internazionali, considerate nel loro stringente rapporto con le leggi autorizzanti la ratifica dei trattati stessi.

 

Ma resta comunque indispensabile che ciascun quesito referendario risulti omogeneo, anziché contenere “una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, da non poter venire ricondotto alla logica dell’art. 75 Cost.”: la quale esige che gli elettori siano messi in grado di votare per il sì o per il no, in vista di interrogativi chiari e precisi, non già per rispondere a diversi referendum “conglobati a forza entro un solo contesto”. Accanto al requisito dell’omogeneità, la corte ha reiteratamente imposto la coerenza e l’intelligibilità del quesito, valutate mettendo in rapporto le disposizioni legislative coinvolte dal referendum con quelle esentate dalla corrispondente richiesta. La corte ha poi dichiarato inammissibili tutti i referendum concernenti leggi elettorali che producessero vuoti incolmabili, nell’attesa di una disciplina integrativa. Una volta presentata una richiesta referendaria, essa può essere bloccata mediante l’approvazione di una legge abrogativa di quella sottoposta al voto popolare, che ne determini l’entrata in vigore prima dello svolgimento della consultazione. Ma l’effetto preclusivo non si realizza se la legge abrogativa comporta innovazioni di pura forma o di mero dettaglio.

 

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