I correttivi del regime parlamentare

Già nella descrizione dei ruoli che in Italia sono stati assunti dai tre organi essenziali di ogni sistema parlamentare, si è constatato che il regime vigente nel nostro paese non coincide con il parlamentarismo puro. Da un lato, nei rapporti fra governo e parlamento, si sono più volte registrati fenomeni che obbedivano ad una logica assembleare piuttosto che ad una logica parlamentare. D’altro lato, neanche la posizione del capo dello stato rientra del tutto nel modello del parlamentarismo.

Accanto a queste ragioni per così dire intrinseche, si danno vari altri profili. Una prima eccezione alla logica del parlamentarismo consiste in tal senso nello stesso carattere rigido della costituzione. Quel che più conta, le disposizioni stabilite in varie parti del testo costituzionale fanno capire che nel nostro ordinamento la logica del parlamentarismo è stata sottoposta a molteplici correttivi.

In altre parole, una serie di decisioni politiche è stata sottratta al raccordo governo-parlamento, per venire riservata ad altri organi o soggetti. In particole, è questo l’effetto che deriva sia dalle previsioni costituzionali di autonomie politiche a base territoriale, sia dalla configurazione di un’apposita corte costituzionale come giudice della legittimità delle leggi.

Residuano, invece, le questioni concernenti gli altri due “contropoteri”, previsti dalla vigente costituzione: quello facente capo al corpo elettorale, nella forma del referendum abrogativo; e quello consistente nell’indipendenza del potere giudiziario, a garanzia del quale è concepito ed istituito il consiglio superiore della magistratura.

 

Il “referendum” abrogativo nella forma italiana di governo

Pur potendo colpire la generalità delle leggi statali e degli atti normativi equiparati, il referendum è stato indubbiamente concepito dall’assemblea costituente come uno strumento utilizzabile solo in circostanza eccezionali, avendo pertanto rilievo secondario ed un carattere complementare rispetto agli istituti della democrazia rappresentativa.

Tuttavia sta di fatto che i ritmi di ricorso all’arma del referendum sono improvvisamente e notevolmente cresciuti. Nella prima metà degli anni settanta, a partire dall’entrata in vigore della legge regolante le “modalità di attuazione del referendum”, le richieste erano rimaste del tutto specifiche sebbene molto importanti, avendo per oggetto dapprima il divorzio e poi l’aborto. Sul finire di quel decennio, per contro, tali iniziative sono sopraggiunte “a pioggia”, soprattutto ad opera di un vero e proprio “partito del referendum”, come quello radicale.

Del resto è certo che i referendum abrogativi richiesti ed indetti negli anni settanta ed ottanta non hanno mancato di incidere sulle sorti stesse delle coalizioni di maggioranza, fino al punto di rappresentare la concausa di vari scioglimenti anticipati delle camere. Ma il sistematico ricorso al referendum non ha perseguito il solo intento di delegittimare il sistema politico in atto; bensì ha determinato una sorta di uso molteplice delle consultazioni referendarie. A fianco dei tradizionali referendum “di rottura”, si sono avuti svariati referendum “di stimolo”, tendenti a sollecitare il parlamento all’approvazione di nuove leggi.

Del pari, alle richieste meramente abrogative si sono affiancate le richieste manipolative, volte a rinnovare certi settori dell’ordinamento mediante l’abrogazione di parti di disposizioni legislative o addirittura di singole parole contenute nei testi di legge in questione. Ancora, la crescente varietà e complessità delle richieste referendarie ha messo in luce lo scarto che spesso sussiste fra quesiti formali, ufficialmente prospettati dalle richieste medesime, e i quesiti “impliciti” riguardanti il significato politico delle rispettive votazioni.

In altre parole, si è riscontrato che la cosiddetta valenza politica dei referendum può trascendere di molto la portata delle norme delle quali di chiede l’abrogazione: come nel tipico caso dei referendum “sul nucleare”, che hanno finito per porre in questione la sopravvivenza in Italia delle relative centrali, ben oltre gli specifici interrogativi trascritti nelle schede.

Per contro la Corte ha dato via libera ai referendum manipolativi, malgrado i dubbi espressi da quanti contestano la conformità di tali richiesta al modello costituzionale: dal momento che essi sarebbero miranti a generare discipline legislative nuove, difformi da quelle che il parlamento aveva previsto e voluto.

 

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