I comuni

Nel confronto con quelle regionali e provinciali, le amministrazioni comunali si caratterizzano molto nettamente, poiché si pongono nel più diretto ed immediato rapporto con le rispettive collettività locali. È in questa prospettiva che il nuovo ordinamento riconosce testualmente ai comuni una competenza generale, senza più riprendere la vecchia distinzione fra le funzioni obbligatorie e quelle facoltative. Ma il “regime di uniformità” non manca di subire eccezioni di notevole rilievo.

Le leggi generali della repubblica sono in grado di introdurre categorizzazioni che tengano conto delle oggettive ragioni di diversità. Ed in questi termini si spiegano i tre principali ordini di deroghe: primo, con riferimento alle circoscrizioni di decentramento comunale, che vanno istituite nei comuni capoluogo di provincia ed in quelli con popolazione superiore a 100.000 abitanti; secondo, nei riguardi delle cosiddette aree metropolitane; terzo, nell’ambito di quelle comunità montane dove i comuni sogliono essere sottodimensionati.

Va considerato inoltre che la legge n. 142 ha dotato anche gli enti territoriali minori di una specifica autonomia statutaria. Su questa base ogni comune ha infatti dettato “le norme fondamentali per l’organizzazione dell’ente”. L’atto normativo in questione ha appunto il nome di statuto, da approvare a maggioranza assoluta, con voto favorevole ripetuto per due volte; e lo statuto prevale sulla generalità dei regolamenti comunali, compresi quelli di più notevole rilievo

. Ciò non toglie che la forma di governo degli enti in esame risulti sostanzialmente predeterminata dalla legge, ben più di quanto sia dato riscontrare per le regioni ordinarie. Gli organi essenziali del comune continuano a consistere nel consiglio, nella giunta e nel sindaco. Di essi, direttamente formati dagli elettori sono tanto il consiglio quanto il sindaco; e il sistema elettorale costituisce l’oggetto di un’apposita disciplina legislativa statale.

La legge stessa distingue i comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti da quelli con popolazione superiore. Nel primo caso l’elezione si effettua ad unico turno. Nel secondo caso, vale a dire per tutti i comuni più importanti, il sindaco viene eletto al secondo turno, mediante ballottaggio fra i due candidati che nel primo turno abbiano ottenuto il maggior numero di voti; mentre la lista i le liste collegate al candidato vincente si vedono assegnato il 60 per cento dei seggi del consiglio.

A propria volta, la giunta acquista una competenza generale o residuale, deliberando “gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al consiglio”. Permane tuttora il rapporto di fiducia fra il consiglio e la giunta. Per meglio dire, il consiglio non costituisce più di altri due organi fondamentali, ma si può soltanto approvare una “Mozione di sfiducia”. Senonché tale atto produce automaticamente lo scioglimento del consiglio medesimo, per l’ovvia ragione che un sindaco direttamente eletto dal popolo non può essere sostituito in forme diverse.

Con tutto questo, il sindaco mantiene la duplice veste già nota nel passato ordinamento. D’altro lato egli è l’organo di vertice del comune. D’altro lato egli esercita una serie di attribuzioni concernenti “servizi di competenza statale”, agendo quale ufficiale del governo: donde il giuramento che il sindaco è tenuto a prestare al prefetto, prima di assumere le proprie funzioni.

 

Le province

Uno fra i cardini del nuovo ordinamento delle autonomie locali va ricercato nel ruolo di ente intermedio fra le regioni e i comuni, mediante il quale si è inteso rivitalizzare le province.

Le province sono ora concepite come enti ai quali spettano “le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale”. Inoltre, a tali compiti di gestione si aggiungono i compiti di programmazione, consistenti sia nel concorrere alla formazione dei programmi regionali, coordinando le eventuali proposte dei comuni, sia nell’adottare “propri programmi pluriennali”, come pure il “piano territoriale di coordinamento”.

Con tutto questo, però, il ruolo che le amministrazioni provinciali verranno ad assumere permane alquanto incerto, giacché le province dovranno per un verso fare i conti con le attribuzioni comunale e per l’altro con quelle regionali. Sul piano organizzativo, viceversa, province e comuni sono strettamente assimilabili. Entrambi sono dotati di tre organo fondamentali, che per le province assumono il nome di consiglio, di giunta e di presidente. Le sole eccezioni di rilievo attengono a quelle specifiche parti del territorio nazionale che verranno assoggettate al regime delle aree metropolitane. Ma la delimitazione territoriale della aree medesime dovrà essere effettuata con legge regionale.

È appunto la provincia che verrà a configurarsi come “autorità” e come “città metropolitana”. Quanto ai comuni inclusi nell’area, essi rimarranno in vita ma non conserveranno tutte le loro funzioni originarie, giacché la provincia dovrà essere dotata dei compiti aventi “precipuo carattere sovracomunale”, o comunque tali da richiedere uno svolgimento coordinato. Sicché le autorità metropolitane si risolveranno in una sorta di super-province, sia pure dotate di caratteristiche profondamente diverse le une dalle altre.

 

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