La conquista di ampi territori transmarini pose la repubblica a stretto contatto con popolazioni profondamente diverse fra di loro, per mentalità, condizioni economiche, strutture sociali, ordinamenti, tradizioni economiche.

Roma, nella maggior dei casi, ricorse a strategie di governo particolarmente duttili, rispettose delle libertà dei vinti, non esitando però all’occorrenza a piegare i loro interessi e le loro statuizioni, per perseguire determinati interessi.

Vennero così istituite le provinciae, territori sottoposti alla diretta autorità di un magistrato romano. Come spesso accadde, molte comunità soggiogate furono lasciate indipendenti ma vennero legate a Roma attraverso la stipula di trattati di alleanza, contenenti delle clausole che imponevano determinate prestazioni. Ad altre comunità sottomesse, invece, Roma lasciò un’autonomia interna ed un’indipendenza formale piena rinunciando anche a vincolarle a sé attraverso la stipula di trattati di alleanze.

Si tratta di civitates sine foedere immunes ac liberae. Per quanto concerne, invece, le civitates liberae di fatto, queste non erano legate da alcun atto unilaterale alla repubblica romana ma risultavano comunque essere obbligate a versare a Roma un tributo in denaro o in natura.

Anche il 241 è certamente una data molto significativa: in questa data, infatti, Roma si impadronì della parte occidentale della Sicilia, della Sardegna e della Corsica. Si tratta di territori dove gli abitanti erano assoggettati a forme di signoria, di dispotismo. Conquistandoli, Roma non trasformò ovviamente quei popoli in comunità di liberi ma li trattò come stranieri, dei vinti, mantenendoli in una condizione di sudditanza molto simile a quella che da sempre li aveva caratterizzati nei rapporti con i signori.

Roma, inoltre, esonerò questi popoli dal servizio militare, li sottopose a oneri di ogni tipo e parte delle loro terre furono confiscate e annesse all’ager publicus. Il governo di Roma sui territori extraitalici era esercitato inizialmente dai magistrati in carica che li avevano conquistati, poi successivamente da quelli che si succedevano nella direzione degli eserciti che avevano proceduto alla conquista.

Una volta però che il potere di Roma si radicò in modo concreto in Sicilia, Sardegna e Corsica, apparve necessario provvedere alla normale amministrazione delle zone conquistate e all’organizzazione del loro sfruttamento.

Questi territori divennero, dunque, le prime province romane. Vennero nominati sei magistrati e più tardi, il loro numero fu aumentato per ovvie esigenze di organizzazione, il cui potere era sancito dalla prorogatio imperii.

Per evitare comunque abusi di potere e favoritismi nell’amministrazione delle province, venne emanata una legge, la lex Sempronia, in cui venne stabilito che il senato dovesse procedere all’assegnazione delle province ai futuri consoli prima che questi fossero eletti: indirettamente, fece sì che tra la nominatio provinciarum e l’effettiva assunzione del governatorato passassero 18 mesi per i consoli e dieci per i pretori.

Nell’ 81, invece, venne emanata la legge Cornelia , che stabilì che i pretori andassero sempre a governare una provincia pro consule o pro praetore, l’anno successivo a quello in cui avevano ricoperto la carica , provvedendo all’esercizio in Roma della iurisdictio civile e alla presidenza delle 6 corti permanenti di giustizia criminale.

Infine, per poter evitare gli abusi dei magistrati nelle province, furono emanate le leggi repetundarum.

L’ordinamento interno di ogni provincia era stabilito con un apposito provvedimento, elaborato dal magistrato che aveva proceduto all’annessione o che aveva ricevuto dal senato l’incarico di provvedere ad ordinare in provincia territori da sempre conquistati.

La lex provinciae veniva emanata dal magistrato con un proprio decreto, su delega dei comizi. Indicava i principi generali in base ai quali la provincia sarebbe stata amministrata, la divideva in circoscrizioni amministrative o distretti minori, in genere accuratamente diversi da quelli esistenti prima della conquista, organizzava l’amministrazione criminale, riconosceva le autonomie locali.

Nell’ambito dei principi generali stabiliti nella lex provinciae, il governatore godeva di notevoli libertà e adottava i provvedimenti più opportuni per la tutela degli interessi romani e per il mantenimento dell’ordine pubblico.

Esercitava l’esercitum militae, ordinava lavori pubblici, esigeva contribuzioni straordinarie. Nella sua attività di governo, era assistito da uno o più legati senatorii: questi fungevano da organi di collegamento con il senato e spesso sostituivano il governatore in importanti funzioni.

Inoltre, in quanto magistrato cum imperio, il governatore aveva ai suoi ordini un questore, che nella provincia rappresentava la più alta autorità dopo di lui ed aveva competenze finanziarie, amministrative e militari.

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