Fonti di produzione e fonti di cognizione

Lo Stato concepito nel senso largo del termine si compone di un sistema ordinato di norme giuridiche: mediante le quali vengono disciplinati tanto i rapporti fra le persone comunque sottoposte all’ordinamento medesimo, quanto l’organizzazione dell’apparato governante.

Il diritto costituzionale ha di mira le ”norme delle norme”, concernenti la creazione e la continua modificazione di tutto il sistema sottostante; in altre parole, le norme sulle fonti normative. Giuridicamente la parola fonte viene usata ora con riferimento alle fonti di produzione, ora con riferimento alle fonti di cognizione del diritto. Per fonti di produzione si intendono gli atti ed i fatti normativi. All’opposto fonti di cognizione sono gli atti rivolti a fornire notizia legale od a facilitare comunque la conoscibilità delle norme vigenti: quali la Gazzetta ufficiale, la Raccolta ufficiale degli atti normativi della repubblica. Giova tuttavia accennare che le fonti di cognizione vanno inquadrate a loro volta in due sottospecie ben distinte: la prima della quali attiene alle forme di pubblicazione necessaria, mentre la seconda comprende sia le forme di pubblicazione meramente notiziole sia le raccolte degli usi formate da parte di pubbliche autorità competenti in materia.

 

Relatività delle fonti di produzione: concetto di fonte da assumere nell’ordinamento italiano

Quando si afferma che il Parlamento è la fonte delle leggi, questo generico assunto può essere condiviso, purché non si dimentichi che le fonti propriamente dette sono in tal caso le leggi stesse. Più in generale le fonti si risolvono nei fatti giuridici largamente intesi cui sia conferita dall’ordinamento giuridico l’attitudine a porre diritto. Oggetti essenziali o principali dello studio riguardante le fonti di produzione sono dunque le norme dell’ordinamento italiano che valgono ad identificare quei tipi di atti o di fatti, che ne disciplinano il rispettivo regime, la competenza e la forza, l’acquisto e la perdita di efficacia. Ed a tali temi si possono aggiungere le norme che fissano i criteri per l’interpretazione dei testi normativi, come poste in essere dagli atti e dai fatti competenti. La relatività del concetto di fronte sta a significare che il discorso da svolgere sul punto non è quello spettante alla filosofia, ma deve riferirsi al solo diritto positivo: nel nostro caso al diritto positivo dello Stato italiano.

La prospettiva logico-teoretica deve cedere il passo, in questa sede, alla prospettiva dogmatica, interna a ciascun ordinamento. Ed in quest’ultimo senso che appunto si evidenzia la relatività del concetto di fonte. Ma con quali criteri, nel vigente ordinamento italiano, le fonti di produzione sono individuabili e separabili dalla massa degli altri fatti giuridici largamente intesi?

a) Da un lato, premesso che le fonti di produzione generano norme giuridiche, si è detto in sostanza che definire le fonti comporta stabilire quali siano i caratteri distintivi delle rispettive norme, al confronto con i precetti contenuti in altri atti non normativi, come le sentenze o i provvedimenti della autorità amministrative; e si è ritenuto che data la loro attitudine a formare ordinamento le fonti stesse vengano a coincidere con i “soli fatti che esprimano norme generali”, cioè suscettibili di una serie indefinita di applicazioni. Ma l’idea che le norme giuridiche siano perciò contraddistinte dalla loro generalità-astrattezza vale a differenziare gli atti normativi in via soltanto normale e non necessaria. Al contrario, le norme singolari ovvero le norme del caso concreto sono ben concepibili e trovano spesso riscontro, salvo il diverso ed articolatissimo problema della loro legittimità costituzionale. La stessa costituzione contiene una serie di disposizioni transitorie e finali, che non cessano di formare diritto malgrado riguardino situazioni ben determinate. Ben più imponente è il fenomeno delle leggi-provvedimento, recanti norme del caso singolo, il regime delle quali non è diverso da quello spettante alle norme legislative generali ed astratte. Il che avvalora l’assunto che le norme generali e quelle speciali, eccezionali od anche individuali siano la specie di un unico genere: senza che sia dato distinguere fra di esse, al fine di caratterizzare complessivamente le fonti normative.

b) D’altro lato si è invece insistito sulla politicità delle fonti del diritto, considerandole tutte “come espressione dei processi di unificazione politica nella sfera dell’ordinamento giuridico”. Coerentemente si è sostenuto che i titolari del potere normativo dispongano tutti d’una valutazione discrezionale o libera dei rapporti giuridici da disciplinare: con la conseguenza che gli atti non conformi a questo schema, quali sarebbero ad esempio i regolamenti di mera esecuzione delle leggi, non avrebbero titolo per essere classificati tra le fonti. Di più: qualsiasi fonte eccedente lo schema stesso dovrebbe dirsi extra ordinem. Nel diritto italiano la qualità di fronte può prescindere dalla sua valenza politica. Ogni regolamento va positivamente riguardato come fonte, purché non tratti di un regolamento “interno”, costitutivo di un ordinamento minore e diverso da quello generale. Né corrisponde al linguaggio corrente la classificazione delle consuetudini tra le fonti extra-ordinem: sia perché degli “usi” ragionano esplicitamente le norme sulle fonti normative, sia perché extra ordinem sono i fatti eversivi di un certo ordinamento, non quelli che lo costituiscono conformemente alle regole dell’ordinamento stesso.

c) Conclusivamente occorre riaffermare che la selezione delle proprie fonti spetta a ciascun ordinamento, sulla base di criteri autonomamente prescelti. A questa stregua, compete ad ogni sistema normativo fissare il livello al di sopra del quali si collocano gli atti ed i fatti produttivi di diritto. Non si vuole alludere alla cosiddetta gerarchia delle fonti, che rappresenta tuttora un criterio interno di sistemazione degli atti e dei fatti normativi: si vuole invece intendere che le fonti di produzione d’un certo ordinamento si sovrappongono alla totalità degli altri fatti generativi di effetti giuridici, determinandone l’antigiuridicità qualora essi contrastino con le norme giuridiche così prodotte.

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