L’associazione in partecipazione è un contratto associativo di collaborazione e non un contratto di scambio in quanto l’apporto non è altro che un mezzo con cui l’associato collabora con l’associante per lo svolgimento di una attività e non il corrispettivo di una attribuzione patrimoniale da parte dell’associante all’associato. Appunto perché è un contratto di collaborazione l’associato partecipa alle perdite oltre che agli utili anche se tali perdite gravano su di lui solo nel limite dell’apporto.

Tale limite è posto in funzione del fatto che l’associato non partecipa alla gestione in maniera simile a quanto avviene per l’accomandante nella società ad accomandita per azioni. Appunto perché è un contratto di associazione l’associazione in partecipazione può essere esteso anche ad altri partecipanti purchè ci sia il consenso dei precedenti associati e assumono rilievo l’oggetto e lo scopo dell’associazione più che la natura dei beni apportati tanto è vero che il contratto rimane identico sia se l’apporto consiste in una somma di denaro, sia se consiste in beni sia se consiste nella prestazione d’opera da parte dell’associato.

La posizione dell’associante

La gestione dell’impresa (o affare) è di competenza esclusiva dell’associante sul quale solo ricade la responsabilità per gli atti compiuti e pertanto i terzi non possono far valere alcuna pretesa nei confronti dell’associato che rimane obbligato solo verso l’associante e solo nei limiti dell’apporto. Solo in via surrogatoria quando ne esistono gli estremi i creditori dell’associante possono far valere nei confronti dell’associato il credito di apporto. Il fatto che la gestione sia di competenza esclusiva dell’associante non esclude che l’associato possa svolgere una attività nell’impresa purchè ciò avvenga sotto la direzione dell’associante che può conferire all’associato anche poteri di rappresentanza dell’impresa.

Abbiamo quindi una differenza rispetto alla società in accomandita dove l’esclusione dell’accomandante dalla gestione dell’impresa è una caratteristica essenziale del tipo di società e pertanto la sua eventuale ingerenza contrasterebbe con le basi essenziali della società stessa. Nel caso della associazione in partecipazione invece essendo l’impresa di esclusiva pertinenza dell’associante nulla esclude che egli possa delegare i suoi poteri all’associato nell’esercizio della impresa. L’associante deve osservare nella gestione della impresa la normale diligenza del mandatario e non può deviare i beni aziendali dalla loro destinazione senza il consenso dell’associato e deve consentire all’associato i controlli previsti nel contratto. L’associante non può inoltre modificare, senza il consenso dell’associato, l’oggetto della impresa (o l’affare) e non può interrompere arbitrariamente l’esercizio dell’impresa o l’affare.

La posizione dell’associato

In base alla legge l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare o della gestione dell’impresa e in questa sede può esercitare il suo controllo sulle operazioni compiute. Il contratto però può prevedere un controllo più intenso da parte dell’associato e quindi può stabilire l’obbligo per l’associante di dare notizia all’associato sullo svolgimento dell’attività o il diritto dell’associato di esaminare i documenti relativi all’amministrazione. La legge stabilisce che la misura della partecipazione dell’associato alle perdite deve corrispondere alla misura della sua partecipazione agli utili anche se le parti, entro certi limiti, possono modificare tale proporzione. La legge però stabilisce che il patto per cui l’associato sia escluso dagli utili o dalle perdite è invalido così come esclude che la partecipazione alle perdite possa superare il limite dell’apporto.

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