Le regole promananti da organizzazioni private o da ordini professionali evocano il principio di sussidiarietà, che viene declinato nei due versanti della sussidiarietà definita istituzionale o verticale e della sussidiarietà definita sociale od orizzontale: il primo riguardante le competenze degli enti territoriali, il secondo quelle dei privati, la cui autonoma iniziativa per lo svolgimento di attività di interesse generale deve essere favorita dallo Stato e dagli altri enti territoriali.

I codici degli ordini professionali rispecchiano la sussidiarietà e costituiscono autodisciplina della categoria. Ad essi si affianca la normativa secondaria promanante da autorità indipendenti, che, invece, rimane eterodisciplina anche quando scaturisce da un confronto con gli interessati. Quell’area che per decenni ha coinciso con la dimensione degli usi è stata ad essi sottratta e riempita di contenuti secondari promanati da autorità indipendenti, da ordini professionali o da organizzazioni private.

La giurisprudenza della Cassazione riconosce il carattere normativo delle regole deontologiche degli ordini professionali. Ci si chiede però quale sia il veicolo per rendere normative queste regole e quale ne sia la portata. Si è andati dunque alla ricerca di una norma primaria che legittimasse l’ordine professionale ad emanare norme deontologiche da incorporare nel sistema normativo. Dunque la regola deontologica non sarebbe regola integrativa del contratto d’opera professionale, se non quando richiamata da una norma primaria.

Un caso emblematico è l’art.12 del d.lgs. 196/2003 (codice in materia di protezione dei dati personali) che rinvia ai codici di deontologia e buona condotta per stabilire i criteri di valutazione del trattamento dei dati personali. Mediante tale norma i codici in questione sono diventati regola circa l’impiego dei dati personali: rilevanti, quindi, a pieno titolo nella giuridicità.

 

Eventuali conflitti tra norme di rango superiore e regole deontologiche

Una disposizione del codice deontologico (art.41) impone all’avvocato, che detiene fiduciariamente somme nell’interesse del cliente, di attenersi alle istruzioni scritte del cliente stesso.

Da qui nasce un interrogativo: costituisce inadempimento del contratto d’opera professionale l’attenersi ad istruzioni orali del cliente, oppure quella regola rileva solo sul terreno della eventuale responsabilità deontologica, e quindi nel rapporto tra ordine e iscritto?

Un criterio per risolvere l’interrogativo va rintracciato nei principi generali: la normativa sul deposito, che va in questo caso ad integrare il contratto d’opera professionale, tace sul punto. La regola concreta risiede nel privilegiare l’interesse del cliente: le cui istruzioni, sebbene orali, vanno eseguite nel rispetto della disciplina che regola gli spostamenti di denaro.

Vediamo una importante decisione del TAR del Lazio del 2012. Il Tribunale ha dichiarato illegittima una disposizione del Codice deontologico forense perché in contrasto con una norma primaria in materia di mediazione.

I codici deontologici integrano le clausole generali della correttezza, della buona fede e della diligenza nell’adempimento delle obbligazioni, ma la loro efficacia va ricavata dalle norme primarie che legittimano l’ordine professionale a dettare regole.

 

Le regole deontologiche nel rapporto contrattuale

Le norme deontologiche rilevano come fonti secondarie di integrazione del contratto quando non collidono con disposizioni cogenti o di rango superiore, o rivelano una portata limitata al rapporto dell’iscritto con l’ordine.

Ciò, peraltro, non impedisce che tutte le disposizioni deontologiche possano regolare il rapporto tra assistito e professionista. A tal fine occorre collocarle sul piano degli usi negoziali: cioè la prassi volta ad applicare nei rapporti tra professionista e cliente le regole deontologiche.

Contenuto della prassi non sono le regole deontologiche in sé, bensì il rinvio ad esse. Questo vuol dire che non è la singola regola ed entrare nel contenuto del contratto, così com’era nel comento della stipulazione, ma la sua consistenza nel tempo, alla stregua del cosiddetto rinvio mobile: dunque nel caso di cambiamenti durante il rapporto, saranno le nuove norme deontologiche a dettare i criteri dell’adempimento dell’obbligazione.

 

Codici deontologici privati. Dimensione extracontrattuale.

I criteri di interpretazione della legge (art.12 preleggi) ed i criteri di interpretazione del contratto (art.1365 c.c.) divergono? L’interrogativo ha una certa rilevanza soprattutto sul piano dell’analogia, perché essa è un criterio di riempimento di lacune normative, non di lacune della disciplina negoziale, perché queste sono risolte dagli effetti dettati dalle norme dispositive.

L’ordinamento giuridico, non il contratto, è caratterizzato dalla completezza: e perciò esula dal contratto l’analogia, che è il mezzo per perseguire la completezza, mentre, nel contratto, occorre ricercare se la clausola pattizia abbia valore esemplificativo.

I codici di autodisciplina di matrice privata possono integrare le norme quando sono richiamati da una norma. Ad esempio, in materia di attestazioni di qualità ed altre certificazioni si rintracciano disposizioni che, pur senza investire le istituzioni private di facoltà regolamentari, rinviano a modelli e criteri dettati da tali istituzioni come strumenti di accertamento del rispetto di determinati standard qualitativi.

Così tali strumenti acquistano una portata normativa: che rimane mediata dalla norma primaria, nel senso che non vi è una delega di funzioni normative, ma il rinvio al dato precettivo espresso nel codice deontologico privato.

Quando un’organizzazione detta spontaneamente regole per l’esercizio dell’attività sua e dei suoi aderenti, siamo appieno nella dimensione del diritto privato, del contratto e degli statuti: qui, dunque, la legittimazione a vincolare va rintracciata nel contratto e nei regolamenti che ne sono esplicazione, nelle regole che attribuiscono all’ente, all’organizzazione, all’associazione o ad un certo organo la potestà di regolare determinati rapporti.

Sul piano dell’illecito extracontrattuale i codici deontologici privati vengono in rilievo come esplicitazioni della diligenza specificatamente dovuta, e quindi, di riflesso, della precauzione, della negligenza o della colpa nell’esercizio di determinate attività che possono arrecare danni a terzi.

 

Due casi sulla sussidiarietà

Nella direzione di applicare il principio di sussidiarietà nella sua pienezza, una decisione del TAR Campania del 2011 ha affermato che Italia Nostra, essendo statutariamente preposta a finalità di conservazione dell’ambiente, è un’esplicazione del principio di sussidiarietà orizzontale o sociale.

In direzione diversa la Consulta ha ritenuto incostituzionale una norma della Regione Marche, la quale, in forza del principio di sussidiarietà, aveva assunto alcuni dipendenti di enti privati che svolgevano attività sanitaria convenzionata con il servizio sanitario regionale. Qui la Corte Costituzionale ha ravvisato la violazione del principio generale secondo cui dipendente pubblico si diventa per concorso: il privato può invocare il principio di sussidiarietà nello svolgimento di attività di interesse generale, ma non deroga a norme che presidiano l’assunzione presso enti pubblici.

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