Si ha gestione di affari altrui quando un soggetto (detto gestore) assume spontaneamente, cioè senza esservi obbligato e senza averne avuto incarico dall’interessato (dominus) l’amministrazione di uno o più affari patrimoniali altrui.

A tale circostanza la legge, concorrendo alcuni requisiti, ricollega il sorgere di determinate obbligazioni sia a carico del gestore sia a carico del dominus. La gestione di affari altrui è disciplinata dalla legge tra le fonti non contrattuali dell’obbligazione. La gestione di affari altrui, infatti, non può essere considerata né un contratto né un negozio unilaterale ma un fatto giuridico volontario al quale la legge ricollega vedervi ad effetti.

La ratio dell’istituto in esame è che non sempre lo svolgimento di un’attività giuridica dell’interesse di altri, senza averne il potere, costituisce un fatto socialmente riprovevole, come in genere lo è l’intromissione negli affari altrui. In talune circostanze, l’interessamento nelle altrui faccende può essere considerato utile dal punto di vista sociale, può rispondere ad un criterio di solidarietà sociale. Ciò si verifica in modo evidente quando, chi si intromette in assenza del proprietario, lo fa a fine di evitare il danno. Per questo motivo la legge, nel caso in cui un soggetto non essendovi obbligato e quindi spontaneamente assume la gestione di affari altrui, stabilisce che qualora la gestione sia stata utilmente iniziata l’interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui nonché le relative spese. Sul gestore incombe, invece, l’obbligo di continuare, una volta intrapresa, la gestione.

Il legislatore ha specificato che non si deve avere riguardo al risultato finale della gestione, cioè considerare se dall’atto il dominus ha tratto vantaggio ma occorre tenere in considerazione l’utilità iniziale dell’atto, quella più immediatamente percettibile dal gestore e considerare se, con quella che era la conoscenza dei atti in quel momento, l’atto o l’affare si prevedeva necessario o utile in base alla valutazione che il dominus come buon padre di famiglia avrebbe fatto.

Presupposti della gestione di affari altrui sono:

  1. L’impedimento dell’interessato a provvedere al proprio interesse è, proprio, il requisito primario della gestione di affari altrui. In mancanza, dell’incarico conferito dall’interessato, la gestione costituisce, infatti, una ingerenza nella sfera giuridica altrui in deroga al principio della autonomia privata. Questa deroga si spiega, come già detto, sulle fondamenta della solidarietà sociale la quale giustifica l’intervento del terzo per curare l’interesse di chi non è in grado di provvedervi. Per impedimento dell’interessato si intende il fatto che questi si trovi in una situazione oggettiva o soggettiva che gli precluda o gli renda difficile curare il proprio interesse (es. nel caso in cui l’interessato sia detenuto). La giurisprudenza, pur ribadendo che l’impossibilità assoluta o relativa dell’interessato costituisce requisito primario della gestione di essere altrui, giungere ad ammettere che possa anche bastare la non opposizione dell’interessato. In tal caso la gestione acquista efficacia in base alla tolleranza del dominus. Infatti, se quest’ultimo è a conoscenza dell’iniziativa del gestore e, pur potendo impedire tale iniziativa, non interviene, il suo comportamento si qualifica come di tolleranza dell’attività del gestore. La tolleranza crea un giustifica l’affidamento del gestore, e secondo il principio di buona fede, impone all’interessato di accettare l’attività tollerata. Viceversa la proibizione del dominus preclude la gestione di affari salvo che tale divieto sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buoncostume. La rilevanza del divieto si spiega in quanto mediante tale atto l’interessato provveda, sia pure negativamente, altro da fare.
  2. La consapevolezza del gestore di curare un interesse altrui: cioè la consapevolezza dell’alienità dell’affare. L’esigenza di questa consapevolezza si spiega anche essa in relazione al fondamento solidaristico della gestione di affari altrui che giustifica l’intervento del gestore negli affari di altra persona e lo obbliga a perseguire la gestione iniziata. Viceversa chi gestisce un affare di altri credendo erroneamente di gestire un affare proprio realizza un’interferenza nella sfera giuridica del terzo che è del tutto estranea alla causa della gestione di affari altrui e che non obbliga pertanto il soggetto ad interessarsi ulteriormente di ciò che non gli rispetta. Per quanto riguarda gli effetti dell’attività già svolta bisogna fare riferimento alla regola che la legge detta in relazione al possessore di buona fede.[ Tale regola assegna al possessore di buona fede i frutti naturali separati e i frutti civili maturati fino al giorno della domanda giudiziale e per i miglioramenti recati alla cosa gli riconosce il diritto ad una indennità nella misura dell’aumento di valore della cosa per effetto di tali miglioramenti].
  3. La spontaneità dell’intervento: questo requisito va inteso nel senso che il gestore non deve essere obbligato alla cura dell’affare dell’interessato; pertanto, non si può parlare di gestione dell’ipotesi di mandato.
  4. L’utilità iniziale della gestione: anche questo requisito attiene allo sfondamento solidaristico dell’istituto. L’intervento altrui, in questa prospettiva, si giustifica non soltanto nel caso in cui l’interessato sia impedito a curare il proprio interesse ma anche quando l’intervento si presenti come utile per l’interessato. La legge richiede precisamente della gestione sia utilmente iniziata. Ciò si spiega in quanto un risultato finale eventualmente negativo non toglie che l’intervento del gestore fosse giustificato se al momento di assunzione della gestione questa si presentava vantaggiosa per l’interessato. L’utilità sussiste quando l’intervento è oggettivamente idoneo a incrementare il valore del bene o ad evitare il pregiudizio.

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