Si è discusso dell’ammissibilità di un profilo di tutela costituzionale del potere d’acquisto di somme oggetto di crediti e ciò specialmente nei riguardi di indirizzi legislativi tendenti a comprimere e\o vanificare tale potere attraverso tecniche più diverse che vanno dal blocco generalizzato dei crediti al divieto fatto alle parti di fare ricorso a misure di salvaguardia. Attorno agli anni ’60 fu di grande attualità la questione riguardante la costituzionalità di interventi legislativi miranti  a de-sensibilizzare la misura dell’indennità di esproprio rispetto a fenomeni speculativi che si sarebbero inevitabilmente messi in moto con l’inizio delle procedure di esproprio.

Di qui la decisione di stabilire il valore venale delle aree di espropriazione con riferimento ai due anni precedenti alla deliberazione comunale di adozione dei piani stessi (l. n. 167 del 1962). Il ricorso delle parti private alla Corte costituzionale si basava sui concetti giuridici che anacronisticamente legalizzano in Italia la speculazione fondiaria ma prospettava anche, come in corso di svalutazione della moneta un prezzo non riferito al mercato corrente e bloccato invece ad una data certa, poteva diventare irrisorio. La Corte costituzionale ebbe a dichiarare illegittimo il metodo per cui il credito dell’indennità sarebbe stato esposto ai contraccolpi della svalutazione per un periodo la cui durata era quanto meno incerta.

Il varco era ormai aperto per l’affermazione di indirizzi giurisprudenziali che hanno teso alla difesa garantistica del potere di acquisto di somme oggetto di crediti, derivanti o meno da contratti o da provvedimenti dell’autorità e ciò argomentando dalla tutela che la costituzione riserva al contenuto minimo della proprietà e\o meglio alla redditività della stessa in termini di cambio. Volendo tentare un bilancio di tali indirizzi, si può dire che la direttrice lungo la quale si sono mossi è quella della difesa dei valori di scambio di beni in quelle evenienze in cui tali valori figuravano consegnati ad entità monetarie che non potevano ritenersi espressive di giuste ed adeguate ragioni di scambio, anche in considerazione del fatto che dette entità erano sottratte a qualsiasi misura di aggiornamento e\o di adeguamento al mutato potere di acquisto della moneta.

Potrà interpretarsi in vario modo il significato e la qualificazione teorica di una norma, come quella che ha introdotto la possibilità di tenere conto, nella condanna del datore di lavoro al pagamento di somme pecuniarie (429 comma 3 c.p.c.) anche del diminuito valore del credito a seguito della svalutazione monetaria. A risultare modificati sono i principi generali sulla distribuzione del rischio della svalutazione tra debitore e creditore in punto di tutela del credito e dove è pacifico che tale rischio, secondo i principi di diritto comune, avrebbe dovuto ricadere sul creditore, pur con il correttivo della responsabilità debitoria per i danni.

Un indirizzo invece più rigoristico e restrittivo si è affermato con riguardo alla estensibilità della stessa misura di rivalutazione ai crediti del lavoratore verso gli istituti previdenziali. È certo che l’indirizzo segnalato ha utilizzato tra l’altro, come argomento quello fondato sulla natura sanzionatoria e\o comunque di prevenzione della misura di rivalutazione introdotta dall’art. 429 comma 3, trascurandosi invece di considerare la finalità di sostentamento anche del credito pensionistico, così da dovere riconoscere che gli stessi presupposti non ricorrono nel ritardo di pagamento da parte degli istituti preposti all’erogazione di prestazioni previdenziali. La stessa ratio decidendi è stata alla base, del resto, dell’indirizzo giurisprudenziale che ha negato l’estensione della misura rivalutativa prevista all’art. 429 c.p.c. ai dipendenti di enti pubblici.

La maggiore contraddizione dell’indirizzo giurisprudenziale inaugurato con la sentenza 5670 del 1978 sta nella difficile coesistenza di indirizzi giurisprudenziali che non possono non apparire di segno opposto. La contraddizione è tra un indirizzo che sembra attestato sulla linea del carattere eccezionale di una misura rivalutativa, introdotta dall’art. 429 c.p.c., e dove l’eccezionalità è nell’automatismo della rivalutazione ivi prevista e un indirizzo, come quello inaugurato con la sentenza 5670 del 1978, che lo stesso automatismo finisce con l’introdurre generaliter in altra zona dell’ordinamento.

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