Nella prospettiva classica della responsabilità civile il risarcimento del danno in forma specifica ha occupato e continua ad occupare una posizione residuale.

Nel nostro Codice civile si rinviene una sola norma espressamente riferita a questa figura: il 2058 [Risarcimento in forma specifica: Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile.           Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore], collocato in fondo a quel Libro IV (Delle obbligazioni), Titolo IX (Dei fatti illeciti) che immediatamente dopo si conclude col 2059 (Danni non patrimoniali), che disciplina il danno non patrimoniale.

Il codificatore del 1942 afferma che “al pari del creditore nelle obbligazioni ex contractu il danneggiato, in quelle per fatto illecito, ha diritto innanzitutto alla reintegrazione in forma specifica della situazione patrimoniale anteriore: questa norma è consacrata nel primo comma dell’art. 2058” (Relazione al codice civile).

In primo luogo si deve rilevare la scorrettezza dell’identità di funzione attribuita al risarcimento nelle obbligazioni ex contractu ed in quelle ex delicto, poiché nelle obbligazioni ex contractu il risarcimento è sanzione dell’inadempimento di un’obbligazione, mentre nelle obbligazioni ex delicto è obbligazione che nasce ex novo dal fatto illecito.

Inoltre, il risarcimento in forma specifica viene racchiuso entro i confini del danno patrimoniale, mentre oggi una delle aree nelle quali tale misura giuridica trova una funzione propria è quella del danno non patrimoniale.

{L’interpretazione sistematica del 2058 (Risarcimento in forma specifica) sembrerebbe far ritenere che il risarcimento in forma specifica sia previsto esclusivamente per il danno patrimoniale poiché solo successivamente, col 2059 (Danni non patrimoniali), il Libro IV, Titolo IX disciplina il danno non patrimoniale.

Ma nessuna ragione milita in favore di una simile limitazione, onde di per sé non sembra ingiustificato attenersi all’interpretazione letterale della norma in questione e ritenere che il risarcimento in forma specifica sia riferibile anche al danno non patrimoniale.

A riguardo di quest’ultimo infatti il 2059 parla della possibilità di risarcimento, senza indicare qual forma esso debba assumere.

Il 2058 altrettanto genericamente, senza distinguere tra danno patrimoniale e non, accorda al danneggiato il potere di domandare il risarcimento anche in forma specifica.

A ben vedere, proprio un’interpretazione sistematica più avveduta induce a tale conclusione: poiché il 2059 (Danni non patrimoniali) prevede un risarcimento del danno senza ulteriore connotazione e poiché nelle norme precedenti tale risarcimento si rende alternativo in due forme, dovrà ritenersi che la norma intenda riferirsi all’una ed all’altra.

Giovanni Bonilini ritiene impossibile il risarcimento in forma specifica del danno non patrimoniale sul presupposto che il bene leso, in quanto immateriale, sarebbe insostituibile ed infungibile.

L’argomento, anzitutto, è singolare, perché adopera qualificazioni proprie delle cose per asseverare la natura immateriale di un bene che attiene alla persona.

Inoltre, l’argomento prova troppo, perché dovrebbe coerentemente indurre ad escludere tout court il risarcimento del danno non patrimoniale, contro la previsione del 2059 (Danni non patrimoniali).

Ove pure poi si voglia ritenere che il risarcimento previsto da tale norma abbia natura afflittiva e sanzionatoria, non potrà sfuggire che proprio il 186 c.p. (Riparazione del danno mediante pubblicazione della sentenza di condanna) prevede, in funzione ulteriormente afflittiva rispetto alla pena, la pubblicazione della sentenza [qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato], che è misura risarcitoria in forma specifica}.

Il relatore sembra dare per scontato che il risarcimento in forma specifica sia in materia contrattuale un’ovvietà, che si tratta di estendere all’illecito extra-contrattuale.

Inoltre l’espressione usata farebbe immaginare una norma analoga già dettata in materia contrattuale, ove del resto è stata concentrata la disciplina del risarcimento del danno applicabile anche al fatto illecito grazie al rinvio contenuto nel 2056 (Valutazione dei danni; esso articolo richiama il 1223, il 1226 ed il 1227).

Al contrario, nella disciplina del risarcimento allogata negli artt. 1226 ss. non è dato rinvenire alcuna regola che si riferisca al risarcimento in forma specifica, mentre una tale norma si trova collocata nel titolo dei fatti illeciti, con la conseguenza che la dottrina stenta a ritenere applicabile il 2058 (Risarcimento in forma specifica) al danno contrattuale.

Quale sia la ragione di un tal procedere del codificatore del 1942 non è dato cogliere dalla Relazione, ma è possibile avanzare qualche ipotesi.

Il Codice civile del 1865, interpretato alla maniera del codice francese, sembrò non contenere alcuna norma in grado di alludere comunque al risarcimento in forma specifica

Nonostante ciò, il problema dell’ammissibilità di tale forma di risarcimento ad un certo punto cominciò a porsi sull’onda di due influenze convergenti: il sistema francese ed il diritto tedesco.

Da un lato in Francia l’idea della riparazione in natura era venuta sempre più affermandosi, pur essendo di per sé il codice francese del tutto alieno da una simile prospettiva.

Anzi esso era ed è ancor più chiuso nei confronti della reintegrazione in forma specifica se si assolutizza il 1142: Nel caso di inadempimento del quale il debitore debba rispondere, ogni obbligazione di fare o di non fare si converte nel risarcimento del danno per equivalente.

Facendo riferimento a questa norma, ancora a metà degli anni ‘50 si poteva affermare che nella responsabilità contrattuale se il creditore ha diritto all’esecuzione, non ha nessun diritto alla riparazione in natura {Akhtam El-Kholy, citato da Yves Chartier}.

In effetti il Code prevede però, subito dopo, al 1143, che nondimeno il creditore ha il diritto di domandare che quanto sia stato fatto in violazione dell’accordo sia distrutto e può farsi autorizzare a distruggerlo a spese del debitore, salvo il risarcimento del danno ove esso ricorra.

Ed al 1144 aggiunge che, in caso di inadempimento, il creditore può essere autorizzato a dare lui stesso adempimento all’obbligazione a spese del debitore.

Analoga era la disciplina italiana degli artt. 1220 e 1222 del Codice del 1865, relativi agli obblighi di fare e di non fare.

In più il 1218 cod. 1865, diversamente dal 1142 del Code, prevedeva in via prioritaria l’esatto adempimento, e solo in mancanza il risarcimento del danno.

Questo può spiegare perché nel sistema francese la risposta all’inadempimento sembra chiusa nell’alternativa tra risarcimento del danno per equivalente ed esecuzione forzata in forma specifica.

Ma anche in Francia la vicenda concreta dell’ordinamento sembra essersi sottratta alle linee segnate dal legislatore.

Nel corso del XX secolo il dato normativo originario si è venuto riorientando con una graduale affermazione dell’idea della réparation en nature fino a pervenire alla regola di diritto oggi vigente, la quale, nelle parole di René Savatier, ascrive le modalità della riparazione al potere sovrano del giudice, che sceglie dunque tra un risarcimento in natura ed uno in danaro, eventualmente combinando insieme l’uno e l’altro.

Regna confusione tra risarcimento in forma specifica ed esecuzione forzata in forma specifica.

Da un lato va messo in chiaro che esecuzione specifica e risarcimento hanno struttura e funzioni diverse.

D’altra parte sembra serpeggiare la convinzione che non ci sia molto senso a sottilizzare tra risarcimento ed esecuzione perché la specificità che caratterizza l’uno e l’altra appare assorbente delle loro differenze strutturali.

{L’idea che tra esecuzione in forma specifica e risarcimento in forma specifica vi sia una distinzione concettuale che sembra non aver ragione d’essere sul piano funzionale si trova ad esempio in Geneviève Viney e Patrice Jourdain}.

Tuttavia potrebbe verificarsi uno sviluppo analogo a quello che è avvenuto nella dottrina italiana, che ha cercato di individuare la distinzione tra le due figure, se si mettesse a frutto il concetto di riparazione in natura (gli autori parlano di condamnation en nature) adottato dai fratelli Léon, Henry e Jean Mazeaud e François Chabas, secondo i quali essa consiste nell’obbligo del responsabile di restituire la vittima nello stato in cui si sarebbe trovata se l’illecito non si fosse verificato.

Questo modo di concepire la riparazione in natura mette in luce un’affinità col diritto tedesco: questa è la seconda influenza esterna, perché la dottrina italiana dibatté il problema della reintegrazione in forma specifica con l’occhio ad esso.

Diversamente dal codice francese, nel quale la mancata previsione della riparazione in natura veniva a coincidere col principio tradizionale nemo praecise ad factum cogi potest, il BGB ereditava istanze giusnaturalistiche, le quali, in chiave di moralizzazione del vinculum iuris, privilegiavano l’attuazione di esso secondo le modalità originariamente previste dalla fonte dell’obbligazione.

Perciò non sembra azzardato ritenere che il risarcimento in forma specifica nasca storicamente nella responsabilità per inadempimento per tracimare successivamente nella responsabilità da fatto illecito.

A sostegno di quest’ipotesi vanno ricordati i due articoli del Code relativi alle obbligazioni di fare e di non fare prima menzionati, i quali sono compatibili con l’idea di risarcimento in forma specifica nonostante si trovino inseriti in un codice che non sembra possederne neanche il concetto.

Dunque due sistemi originariamente contrapposti, quello francese e quello germanico, finiscono per convergere, non fosse per il fatto che nel codice tedesco alla Naturalherstellung (Herstellung significa “costruzione”, “produzione”: richiama esplicitamente il “fare”) è attribuito il rango di prima regola del risarcimento, rispetto alla quale la condanna alla riparazione per equivalente funge da surrogato quando il creditore lo richieda (ma in questo caso senza che si possa confondere la somma sostitutiva, che fa riferimento alla riparazione in natura, col risarcimento per equivalente: Karl Larenz; Dieter Medicus) ovvero la riparazione in natura sia impossibile od eccessivamente onerosa, mentre nel sistema francese la scelta tra riparazione naturale e riparazione equivalente è rimessa alla valutazione del giudice (Yves Chartier).

Ma anche tale ultima differenza tende a dissolversi, poiché alla primazia fissata nel BGB a favore della Naturalherstellung fa riscontro la prevalenza di fatto del risarcimento per equivalente.

 

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