Dunque il codice civile italiano del 1942 non è una pedissequa ripetizione del progetto della Commissione italo-francese.
Vi è una idea corrente nella letteratura, secondo la quale il sistema franco-italiano è ancorato ad una norma di esordio di portata generale, diversamente da quella del codice tedesco; comunque, dice la Relazione sul progetto di un codice delle obbligazioni e dei contratti comune all’Italia ed alla Francia (1928), anche nel codice tedesco i casi più importanti si riconducono alla responsabilità per colpa.
Vi è un errore di prospettiva: si crede di affermare la generalità della colpa laddove questa rileva di riflesso dalla generalità dell’elemento oggettivo della fattispecie di responsabilità, quella che fa sì che responsabilità vi sia anche quando il danno non sia conseguenza della lesione dei diritti soggettivi nominatamente indicati dal § 823 BGB (la vita, l’integrità fisica, la salute, la libertà, la proprietà o un altro diritto).
L’aggiunta dell’aggettivo “ingiusto” nel corpo dell’attuale 2043 (Risarcimento per fatto illecito: Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno) rappresenta lo sviluppo dal Progetto italo-francese al Codice civile italiano.
Se ne trova immediata eco nella Relazione al codice, la quale dichiara che perché il fatto colposo o doloso sia fonte di responsabilità occorre che esso produca un ingiusto danno.
Si perviene alfine alla consapevolezza che la culpa e l’iniuria sono concetti distinti; e quindi si esige che il fatto o l’omissione, per essere fonte di responsabilità, debba essere doloso o colposo […] e debba inoltre essere compiuto mediante la lesione della sfera giuridica altrui.
{Conforme all’idea espressa dalla Relazione, la dottrina dominante ha identificato l’ingiustizia del danno con la violazione di una situazione giuridica soggettiva.
Paradossale sembra perciò l’affermazione di Vincenzo Scalisi, secondo il quale in tal modo si sarebbe verificata la espunzione del principio di ingiustizia dalla struttura della fattispecie di responsabilità.
In realtà non si tratta di un principio ma di una qualificazione, che connota il danno, come perdita patrimoniale, che diventa giuridicamente rilevante ai fini della responsabilità quando sia conseguenza della lesione di una situazione soggettiva.
Secondo Scalisi la lesione di un interesse normativamente protetto non è il danno ingiusto: è semplicemente il concetto giuridico di danno.
Sempre secondo Scalisi, l’ingiustizia risulterebbe dall’apprezzamento simultaneo della situazione giuridica violata e dell’interesse contrapposto facente capo al soggetto agente.
Ma a questo secondo aspetto provvede la categoria dell’antigiuridicità, anzi della non antigiuridicità, come qualificazione della condotta posta in essere da chi abbia un interesse che l’ordinamento considera prevalente rispetto a quello del danneggiato.
Non sta all’interprete formulare tale giudizio di prevalenza all’interno della qualificazione di ingiustizia, perché vi ha già provveduto l’ordinamento}.
L’aggiunta dell’iniuria al danno segna un significativo spostamento rispetto al modello francese, nel quale è il danno senza qualificazioni a costituire l’elemento oggettivo della fattispecie di responsabilità.
Nel momento in cui si afferma la necessità che il danno sia ingiusto, si aggiunge una qualificazione propriamente giuridica al danno come pura perdita patrimoniale.
L’aggiunta dell’ingiustizia avvicina perciò il 2043 al § 823 BGB.
Di questo non si accorge Stefano Rodotà quando assume che il 2043 ha conservato l’impianto della norma francese, affermando che, come quest’ultima, la norma italiana conterrebbe una clausola generale: precisamente, il danno ingiusto.
Il 1382 del Code civil prevede, nella traduzione testuale che ne fece il 1151 del Codice civile italiano del 1865, che Qualunque fatto dell’uomo che arreca danno ad altri, obbliga quello per colpa del quale è avvenuto, a risarcire il danno.
Il § 823 BGB prevede al comma I che colui che con dolo o colpa in maniera antigiuridica viola la vita, l’integrità fisica, la salute, la libertà, la proprietà o altro diritto è obbligato al risarcimento del danno che ne sia derivato al suo titolare, ed al comma II che alla stessa maniera risponde colui che viola una legge posta a protezione della sfera giuridica altrui.
Se si raffronta il 1151 cod. 1865 col 2043 c.c., si mette in evidenza che entrambi sono norme generali.
Ma mentre il 1151 cod. 1865 è altresì norma che contiene una clausola generale, non così il 2043 c.c.
Mentre nel 1151 cod. 1865 il danno quale elemento oggettivo della fattispecie, essendo privo di connotazioni, sembra implicare la valutazione del giudice al fine di distinguere il danno giuridicamente rilevante e perciò risarcibile da quello non rilevante e non risarcibile, nel 2043 il legislatore del 1942 ha aggiunto al danno l’aggettivo “ingiusto”, il quale rinvia ad una valutazione già fatta dal legislatore.
In realtà, la tecnica legislativa adottata dal nostro codice ha messo capo ad una norma di portata generale, non ad una norma a clausola generale.
Rispetto al BGB la generalizzazione, conseguita mediante una formula che evita il riferimento a diritti soggettivi, fa sì che la tutela non sia più limitata ad interessi che nella legge debbano essere assurti alla pienezza formale di quelli.
La norma rende risarcibile il danno conseguente alla lesione non solo di ogni diritto soggettivo riconosciuto dall’ordinamento, ma pure di ogni situazione soggettiva che, dal momento in cui viene fatta rilevante dall’ordinamento, rende ingiusta la lesione che la riguarda.
Il nostro ordinamento risulta attestato a metà tra quello francese e quello tedesco, coniugando l’elasticità del primo con l’istanza di certezza del secondo.