A livello giuridico le costituzioni sono ciò che attiene alle grandi rivoluzioni (americana e francese) che segnano la reazione allo Stato assoluto, cioè lo Stato nella figura del re (l’état c’est moi) al di sopra della legge (legibus solutus) senza divisione dei poteri. Nell’antichità non era così poiché si riconoscevano dei limiti alla legge (es. Antigone). A livello di pensiero invece la società reagisce in due modi diversi: con il giusnaturalismo, cioè l’esistenza del diritto naturale come diritto razionale, a prescindere dall’esistenza di Dio (ragionare come se Dio non fosse), e con l’illuminismo giuridico, nato con l’idea del contratto sociale di Rousseau secondo cui l’autorità ha il potere che il popolo – sovrano gli delega.

In questo secondo orientamento troviamo un autore molto importante, Cesare Beccaria che scrisse “Dei delitti e delle pene” in cui vuole arrivare al diritto penale moderno per cui la legge predetermina i reati e la rispettiva sanzione; inoltre parla della pena di morte e si pone contro poiché lo Stato non ha il diritto di uccidere perché il popolo non gli ha concesso questo diritto e lo Stato non ha più potere assoluto. Abbiamo detto invece che a livello giuridico appaiono le costituzioni con l’idea di una legge fondamentale nella quale sono garantiti i diritti della persona e sono delineati i termini della procedura, cioè la divisione dei tre poteri. Tutto questo per costituire un limite al potere dello Stato, ora diventato persona giuridica.

Il diritto canonico è caratterizzato da un lato dalla rigidità del “corpus legum”, la meta finale determina e condiziona l’ordinamento giuridico, dall’altro dall’estrema adattabilità alle esigenze di tempo e luogo. Potrebbe apparire come un contrasto insanabile tra “l’immobilità statuaria della meta e la voluta mobilità delle forme della carovana” (Le Bras) ma se osserviamo con attenzione svela la singolare economia fra divino ed umano che tutto pervade. Il passaggio dalla piccola comunità di Gerusalemme delle origini all’immensa congregatio fidelium e communio ecclesiarum che compongono oggi la Chiesa avviene nel tempo attraverso complessi sviluppi giuridici che non possono sfuggire all’attenzione del canonista e dello storico, chiamati a cogliere i punti di equilibrio tra l’immobilità statuaria della meta e la mobilità delle forme della carovana.

A questo punto si pone il quesito se la Chiesa abbia o meno una Costituzione. Se per Costituzione si intende, in una prospettiva ideologico – politica, la legge fondamentale che ha tra i suoi caratteri la partecipazione popolare alla sua formazione, allora la risposta sarà negativa. Infatti la Chiesa è una comunità di fedeli, ma la sua istituzione, le sue finalità e i mezzi non provengono dalla volontà del popolo dei fedeli ma da quella del suo Fondatore. Se invece per Costituzione si intende, dal punto di vista giuridico – formale, l’insieme dei principi che sono al vertice del sistema normativo di un ordinamento primario, allora la risposta sarà positiva.

Questa Costituzione della Chiesa presenta alcune caratteristiche: innanzitutto è non scritta o materiale. Infatti le fonti del diritto canonico positivo sono numerose, ma il loro nucleo essenziale è dato dalle norme di diritto divino positivo contenute nella Rivelazione. Questo carattere però è assolutamente originale perché attualmente la maggior parte delle Costituzioni sono scritte, il caso più celebre di Costituzione non scritta è quello dell’Inghilterra. Durante il Concilio Vaticano II nasce il problema di una formalizzazione della Costituzione promossa da Paolo VI nel 1965 richiamando la singolarità dell’ordinamento giuridico della Chiesa data la sussistenza di due codici: quello latino e quello orientale. Si pensò quindi di elaborare un testo comune e fondamentale ma la preoccupazione era quella di garantire una cornice giuridica unitaria.

Vennero elaborati una serie di progetti di legge fondamentale della Chiesa, Lex Ecclesiae fundamentalis, che però ricevettero molte critiche per vari motivi: la possibilità di trasferire al diritto canonico uno strumento ideologicamente caratterizzato come quello della Costituzione, che nasce sul presupposto di una sovranità popolare; la compatibilità del carattere rigido delle costituzioni contemporanee con il peculiare aspetto gerarchico della Chiesa; il fondamento teologico e giuridico della Lex; l’inserimento in essa del solo diritto divino o anche del diritto umano; la configurabilità di diritti e doveri fondamentali dei fedeli. Giovanni Paolo II decise di non proseguire con il progetto ed una parte dei canoni (relativa ai diritti e doveri dei fedeli) furono inseriti nel codice del 1983.

Un’altra caratteristica della Costituzione della Chiesa è la sua particolarità sotto il profilo della modificabilità. Le Costituzioni degli Stati possono essere flessibili, cioè modificabili con la legge ordinaria, o rigide, cioè modificabili solo attraverso un procedimento speciale ed aggravato. In altre parole, quando la Costituzione è al vertice nella gerarchia delle fonti e ha una procedura speciale per essere modificata è detta rigida, se invece la Costituzione è sempre al vertice ma ha la stessa forza della norma ordinaria è detta flessibile perché si basa sull’interpretazione di una norma che ad esempio abroga una norma costituzionale. Ad esempio la Costituzione italiana è rigida poiché l’art. 138 dispone per le leggi di revisione costituzionale procedure più complesse.

La Costituzione della Chiesa cattolica è in parte rigida e in parte flessibile: è rigida nella parte di principi e norme di diritto divino; è flessibile nella parte di norme poste dal legislatore ecclesiastico. Nella parte rigida troviamo ad esempio le norme che regolano la condizione del Papa come Vescovo della Chiesa di Roma, capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore in terra della Chiesa universale, per cui il Papa in forza del suo ufficio ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa (can. 331). Un altro esempio sono le disposizioni sul collegio episcopale, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi, collegio che è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale (can. 336) che esercita in modo solenne nel Concilio Ecumenico (can. 337). I principi posti dal Divino Fondatore della Chiesa sono irreformabili (non modificabili), da qui l’assoluta diversità della Costituzione della Chiesa rispetto alle costituzioni rigide degli Stati: infatti la rigidità di queste ultime è relativa giacché possono essere modificate attraverso dei procedimenti speciali, viceversa la rigidità della Costituzione ecclesiale è assoluta perché i suoi contenuti fondamentali non possono essere modificati dal legislatore umano.

Invece alla parte flessibile appartengono ad esempio le norme riguardanti le Conferenze episcopali, cioè forme di organizzazione dell’episcopato di una nazione, affermatesi tra il XIX ed il XX secolo, aventi la funzione di esercitare congiuntamente alcune funzioni pastorali (can. 447). Un altro esempio sono le norme del Sinodo dei Vescovi, organismo rappresentativo del collegio episcopale creato dopo il Concilio Vaticano II per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi (can. 342). Si tratta quindi di strutture organizzative che sono sorte nel corso della storia per volontà del legislatore umano e possono quindi da questo essere nel tempo modificate o soppresse.

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