Il processo dinanzi al G.A. è un processo di parti, promosso su iniziativa di una parte e che giunge alla sua conclusione soltanto su loro richiesta. Infatti, il ricorso è proposto su iniziativa del cittadino o dell’ente leso dal provvedimento impugnato e l’udienza di discussione del ricorso, preliminare alla sua decisione, è fissata su iniziativa di una delle parti costituite.

Analogamente a quanto previsto nel processo civile, anche in quello amministrativo il concetto di parte si riferisce al ricorrente, colui che propone l’azione, nonché al soggetto avverso il quale l’azione è proposta, resistente, ed eventualmente i controinteressati. Si suole distinguere le parti principali da quelle accessorie.

Sono parti principali e necessarie del normale giudizio impugnatorio, nel senso che non possono mancare, ovvero che debbono essere messe in condizione di partecipare e di contraddire a seguito della notificazione del ricorso:

a) Il ricorrente: colui il quale, come titolare del diritto all’azione e quindi dell’interesse all’annullamento o alla riforma di un atto amministrativo, propone il ricorso affermandosi appunto titolare dell’interesse legittimo leso oltre che interessato all’eliminazione dell’atto.

Potrebbero esistere anche più ricorrenti laddove sia emesso un ricorso collettivo, ossia un unico ricorso proposto da soggetti diversi che vengono ad impugnare il medesimo provvedimento per motivi almeno in parte comuni ovvero impugnino, più provvedimenti identici di una medesima autorità, posti in essere in quadro unitario. In questa ipotesi si realizza un cumulo soggettivo e oggettivo.

b) L’amministrazione che ha emesso l’atto impugnato: c.d. parte resistente pubblica, ossia l’autorità che ha emanato l’atto o nei cui confronti deve essere fatta valere la pretesa.

Si tratta della portatrice istituzionale dell’interesse pubblico che l’atto ha inteso soddisfare e che acquisisce la qualità di parte sempre che dal momento dell’adozione dell’atto a quello della proposizione del ricorso non vi sia stato un mutamento di competenza in merito a tale adozione.

In tal caso, parte resistente diverrà l’amministrazione subentrata nella competenza della prima, sempreché non voglia decidere nel frattempo di eliminare o riformare l’atto impugnato. Va, in ogni caso, precisato che l’amministrazione, nel processo, si trova in posizione di parità rispetto al ricorrente. La sua posizione di autorità rimane immutata sul piano del diritto sostanziale, ma dal punto di vista processuale non potrà far valere alcun privilegio.

Potrebbero però esistere anche più amministrazioni resistenti allorquando gli atti impugnati siano più di uno e promanino da amministrazioni diverse. Può trattarsi, ad esempio, di atti adottati da amministrazioni diverse nell’ambito di un unico procedimento: si avrà l’impugnazione dell’atto finale del procedimento insieme all’atto presupposto adottato da diversa autorità.

È il caso di un permesso di costruire (ex concessione edilizia), richiesto al Comune, in relazione ad un’area soggetta ad un vincolo paesaggistico: in questa ipotesi, infatti, occorrerà richiedere un nullaosta all’autorità deputata alla tutela del relativo vincolo.

Se l’autorità competente al rilascio del nullaosta non dovesse rilasciare tale atto, il Comune, a sua volta, non potrà rilasciare il permesso di costruire e, conseguentemente al provvedimento negativo dell’autorità competente, emetterà anch’esso un provvedimento di diniego. Emanati questi due provvedimenti negativi, il ricorrente dovrebbe impugnarli entrambi: infatti, il provvedimento di diniego dell’autorità deputata alla tutela del vincolo si pone come un atto presupposto, quindi impugnabile autonomamente, sia pure insieme al provvedimento finale.

c) Gli eventuali controinteressati: coloro che hanno un interesse esattamente opposto a quello del ricorrente, in quanto mirano alla conservazione dell’atto. Sono i titolari della legittimazione a contraddire: traggono vantaggio dall’atto impugnato, sicché aspirano al suo mantenimento in vita, sicché l’accoglimento della domanda del ricorrente arrecherebbe loro uno svantaggio. Si tratta di parti necessarie e principali, ma eventuali.

Supponiamo che Tizio faccia domanda all’ERSU per ottenere una borsa di studio. Naturalmente L’offerta è però inferiore alla domanda, nel senso che vi sono molte domande ma i fondi non sono sufficienti a soddisfare tutte le richieste, pertanto l’ERSU, applicati i criteri stabiliti per valutare i requisiti, predisponga e approvi una graduatoria.

L’ente riesce a soddisfare solo 100 studenti e così Tizio (classificato 101°), ritenendo che i suoi titoli non siano stati valutati correttamente, impugna la graduatoria. Egli presenterà un ricorso perché la graduatoria e il successivo provvedimento di erogazione sono pregiudizievoli, lesivi della sua sfera giuridica. Tizio ritiene che, nel rispetto dei propri titoli si sarebbe dovuto classificare 100°. In questo ricorso, quindi, è presente un controinteressato, ossia il 100°, perché se il ricorso venisse accolto egli diverrebbe 101° non avendo più diritto a godere del beneficio. Pertanto, laddove presente, il controinteressato deve essere chiamato in giudizio per mezzo della notificazione il ricorso.

In ogni caso, non tutti i controinteressati sono parti necessarie: secondo la giurisprudenza, devono infatti obbligatoriamente essere messi in condizione di partecipare al processo soltanto i soggetti che, titolari di un interesse qualificato alla conservazione del provvedimento, siano individuati o facilmente individuabili alla stregua delle indicazioni contenute nell’atto: si tratta del cosiddetto criterio formale.

Una giurisprudenza minoritaria ricorre invece al criterio sostanziale, costituito dalla titolarità dell’interesse dedotto in giudizio.

Emerge quindi un quadro in cui alcuni controinteressati in possesso della legitimatio ad causam potrebbero non diventare parti necessarie e legittimi contraddittori del processo se non risultano identificabili dal provvedimento.

In quanto titolari di un interesse legittimo di segno contrario rispetto a quello del ricorrente, essi possono comunque intervenire nel giudizio e proporre opposizione di terzo.

Può poi accadere che il giudice non individui correttamente la cerchia dei contro interessati-parti necessarie, nei confronti dei quali integrare il contraddittorio. Ove l’integrazione non sia ordinata, la decisione è affetta da vizio di procedura rilevabile d’ufficio in appello dal giudice che deve annullarla con rinvio al giudice di primo grado.

Difatti, l’art. 49 cpa dispone che se il giudizio è promosso solo contro uno dei controinteressati, il presidente o il collegio ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri. Il giudice, nell’ordinare l’integrazione del contraddittorio, fissa il relativo termine indicando le parti cui il ricorso deve essere notificato.

In assenza di tempestiva integrazione del contraddittorio, il ricorso diviene improcedibile ai sensi dell’art. 35 cpa.

I soggetti nei cui confronti è integrato contraddittorio non sono pregiudicati dagli atti processuali anteriormente compiuti. Il ritardo collegato all’attività di integrazione potrebbe cagionare problemi con riferimento alle esigenze del ricorrente di ottenere con immediatezza la tutela cautelare. La soluzione del contrasto si trova nell’art. 27 cpa, secondo cui, nelle more dell’integrazione del contraddittorio, il giudice può pronunciare provvedimenti cautelari.

L’integrazione del contraddittorio non è ordinata nel caso in cui il ricorso sia manifestatamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondato. In tali casi il collegio provvede con sentenza in forma semplificata.

d) Altre parti principali. Oltre ai soggetti citati sono legittimati a partecipare al giudizio amministrativo in veste di parti principali:

  • quei cointeressati del ricorrente che avrebbero potuto proporre e tuttora potrebbero proporre essi stessi ricorso, e quindi intervengono nel giudizio prima di essere decaduti per decorso dei termini da tale facoltà: si parla al riguardo di interventori principali ad adiuvandum o in parte actoris;
  • quei controinteressati che, pur essendo parti necessarie, non abbiano tuttavia ricevuto notifica del ricorso: interventori principali ad opponendum àsi tratta della costituzione in giudizio di una parte necessaria.

La norma di riferimento è l’art. 28 cpa, il quale dispone che se il giudizio non è stato promosso contro alcuna delle parti nei cui confronti la sentenza deve essere pronunciata, queste possono intervenirvi, senza pregiudizio del diritto di difesa.

Il co. 2 aggiunge che chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo Stato il grado in cui il giudizio si trova

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento