Tra le fonti dell’obbligazione si ricorda:

La gestione d’affari disciplinata dall’art. 2028-2032 c.c. ove è previsto l’obbligo in capo a chi, scientemente e “senza esservi obbligato, assume la gestione di un affare altrui”, di continuare la gestione stessa e di condurla a termine finchè l’interessato non sia in grado di provvedervi da sé. Questi , qualora la gestione “sia utilmente iniziata”, ha l’obbligo di adempiere le obbligazioni che il gestore abbia assunto in suo nome e deve tenerlo indenne di quelle da lui assunte in nome proprio, rimborsandogli altresì le spese necessarie o utili.

L’istituto può applicarsi all’amministrazione nell’ipotesi in cui un terzo gestisca affari di spettanza del soggetto pubblico, purchè non si tratti di pubbliche potestà. Tali fattispecie dovrebbero essere integralmente disciplinate dalla normativa privatistica: tuttavia la giurisprudenza ha introdotto la regola secondo cui l’utilità della gestione deve essere accertata con un atto di riconoscimento da parte dell’amministrazione , a differenza di quanto accade nell’ipotesi in cui l’azione sia esperita tra privati.

Le limitazioni introdotte all’istituto ora richiamato contribuiscono a spiegare la maggiore diffusione che ha conosciuto quello dell’arricchimento senza causa , o actio in rem verso, disciplinato dal c.c. agli art. 2041 e 2042 c.c. prescrivendosi in particolare che “chi , senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”. L’arricchimento consiste nel vantaggio che può essere rappresentato da un incremento del patrimonio, da un risparmio di spesa o dalla mancata perdita di beni.

Le ipotesi che qui interessano riguardano il caso in cui il soggetto arricchito è l’amministrazione, mentre risultano assoggettati alla disciplina comune i casi di arricchimento del privato determinati da un’azione amministrativa.

Si pensi alla situazione in cui un professionista svolga prestazioni a favore di un ente pubblico in assenza di formale incarico, all’esecuzione di attività continuative al servizio di un ente senza investitura , all’esecuzione di un contratto non ancora approvato ovvero nullo: in tutte queste ipotesi manca un fondamento giuridico che giustifichi lo spostamento patrimoniale e l’arricchimento dell’amministrazione, e dunque può farsi questione di indennizzo a favore di terzo.

L’istituto dell’arricchimento senza causa trova anche applicazione nell’ipotesi di cui all’art. 194 T.U.E.L. , ai sensi del quale gli enti locali hanno la possibilità di riconoscere i debiti fuori bilancio( quelli maturati senza che sia stato adottato l’atto contabile di impegno) derivanti da acquisizione di beni e servizi senza delibera autorizzata o impegno contabile, purchè siano accertati e dimostrati l’utilità e l’arricchimento per l’ente nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza. L’obbligazione assunta dal dipendente è imputabile all’ente , almeno per la parte riconoscibile come debito fuori bilancio.

La giurisprudenza individua un ulteriore presupposto per l’esercizio dell’actio de in rem verso nei confronti dell’amministrazione , costituito dal riconoscimento esplicito o implicito dell’utilità dell’opera da parte del soggetto pubblico, riconoscimento che può derivare anche dall’utilizzazione concreta dell’attività e dell’opera.

In tal modo la fattispecie muta rispetto a quella disciplinata dal c.c. con riferimento ai consueti rapporti interprivati , la quale non prevede affatto siffatto presupposto , ritenuto dalla giurisprudenza ora una condizione dell’azione, ora un elemento integrativo della fattispecie.

Infine occorre accennare al pagamento di indebito ( indebito oggettivo), che trova applicazione nelle ipotesi in cui l’amministrazione abbia disposto a favore dei propri dipendenti il pagamento di somme in eccedenza rispetto a quelle che avrebbe dovuto versare. L’art. 2033 c.c. prescrive che “chi eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”.

La giurisprudenza ha progressivamente introdotto il principio della tutela dell’affidamento nel privato in buona fede : più precisamente la legittimità della scelta dell’amministrazione di agire per la ripetizione dell’indebito viene valutata anche alla stregua di questo affidamento; per altro verso , la ripetizione delle somme pagate indebitamente da alcune amministrazioni trova una propria peculiare disciplina , la quale rende rilevante l’elemento psicologico del beneficiato.

Nella prassi amministrativa si è imposto un peculiare istituto, denominato riconoscimento di debito. Esso viene utilizzato allorché, a seguito della realizzazione di opere o dell’effettuazione di servizi da parte di un’impresa al di fuori del contesto contrattuale , derivi un vantaggio per l’amministrazione. L’atto di riconoscimento di debito è ritenuto legittimo dalla giurisprudenza contabile, quando a fronte della esecuzione dei lavori o all’effettuazione di prestazioni, dimostrata l’impossibilità di ricorrere ai normali schemi contrattuali, l’amministrazione valuti autonomamente l’utilità dell’opera o del servizio effettuati dal privato e motivi congruamente al riguardo. Il riconoscimento di debito consente il legittimo impegno di spesa.

 

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