L’assetto organizzativo di tutti gli ordinamenti è caratterizzato dalla dialettica tra 2 opposti principi

– il principio dell’unità (essa garantisce la sintesi, ed è quindi espressiva di esigenze di uguaglianza, traducendosi però nella sua massima realizzazione, in un sistema totalitario)

il principio dell’articolazione (essa determina la libertà e assicura esigenze di differenziazione, ma se si manifesta prescindendo dall’unità, prova disuguaglianza e dispersione).

C’è allora tensione tra i 2 principi: quando 1 prevale sull’altro, si generano spinte diverse che promuovono una evoluzione del sistema nella direzione opposta. Vediamo come sono applicati.

A) Accentramento, decentramento: Nella formula dell’accentramento le attribuzioni e le competenze appartengono tutte all’amministrazione centrale. Non è applicabile questo modello ai sistemi moderni: troppo ampia la categoria degli interessi affidati alla cura dell’amministrazione. la tutela degli interessi è allora articolata riconoscendo funzioni autonome ad enti pubblici esponenziali di gruppi sociali (territoriali o settoriali) ovvero distribuendo le funzioni tra uffici periferici o enti non esponenziali. Con riferimento al rapporto uffici centrali/uffici locali dello stato, il decentramento configura una modalità organizzativa interna per l’esercizio di uno stesso potere. Rispetto agli uffici locali in periferia infatti, quelli centrali mantengono un ruolo di supremazia più o meno accentuato. Esso è il cosiddetto “decentramento burocratico”( perché i rapporti su cui incide sono rapporti tra uffici). Esso può essere più o meno accentuato a seconda della quantità di funzioni proprie degli enti diversi da quelli territoriali nonché dal grado di autonomia operativa nell’esercizio delle stesse. Con riferimento agli enti pubblici, il decentramento indica invece la distribuzione di vere e proprie funzioni di cura degli interessi pubblici: in questo caso si ha un decentramento settoriale perché determinate funzioni che potrebbero esser esercitate da organi di un ente territoriale vengono attribuite a un diverso soggetto appositamente istituito. Esso può avere gradazioni diverse, articolate sull’esclusività o meno delle competenze degli uffici periferici, nonché sulla presenza/assenza di un rapporto di subordinazione gerarchica col centro. Gli uffici decentrati sono più vicini al cittadino, ma è anche vero che non sempre gli interessi che possono influenzare le loro scelte sono quelli a cui l’ordinamento dà tutela.

B) Autonomie, federalismo: Le forme di autonomia possono concernere l’organizzazione (cosiddetta autonomia organizzativa): essa consiste nel potere di decidere il modello organizzativo e quindi la conformazione degli organi e il rapporto tra gli stessi. Riguardo all’acquisizione e disponibilità dei mezzi finanziari, la formula è quella dell’autonomia finanziaria cioè procacciarsi autonomamente mezzi finanziari e dell’autonomia contabile cioè l’utilizzazione delle risorse economiche. La formula più piena di autonomia è la cosiddetta “autonomia politica”: essa è tipica degli enti esponenziali di una collettività territoriale, comprendendo la possibilità di dare alle proprie scelte un indirizzo politico autonomo rispetto a quello centrale. Il “federalismo” è la forma di autonomia politica più accentuata. L’articolazione dei poteri normativi in buona parte degli stati federali segue uno schema di generalità/specialità per cui lo stato federale ha solo le competenze conferitegli: esso è l’assetto tipico dell’UE (sebbene essa non sia ancora specificatamente uno stato federale). Formalmente questo potrebbe esser considerato anche l’assetto del titolo V della Costituzione con riferimento al riparto delle funzioni legislative: infatti dopo il 2001 vige una formale tassatività delle competenze dello Stato. La portata effettiva di questa norma risulta però attenuata e contraddetta da una serie di altre norme della legge di riforma e trova contrappeso in una serie di poteri riconosciuti allo stato da Corte costituzionale: lo Stato può legiferare su certi profili potenzialmente concernenti le materie rimesse alla competenza legislativa esclusiva delle regioni senza limitazione (esempio: tutela alla concorrenza e all’ambiente); viene attribuito al Governo. il potere di sostituirsi agli organi regionali, città, province, comuni quando non siano rispettati trattati internazionali e norme UE o quando c’è pericolo per la sicurezza pubblica o l’unità economica; il principio di sussidiarietà è stato interpretato da Corte Costituzionale come esercizio del potere legislativo statale anche in materia concorrente ed esclusiva delle regioni ex .303/2003.

Talvolta però si parla di “federalismo amministrativo”: esso sarebbe il decentramento della maggior parte delle funzioni amministrative dello stato verso le regioni e gli enti locali. Il discorso è cominciato con due leggi tra 1997 e 1998, arrivato poi a termine con la modifica del titolo V, che al 118 prevede quello che abbiamo già detto. Questa norma per Rossi ha solo valore emblematico perché spesso la piccola dimensione dei comuni li rende inadeguati all’esercizio di una grande quantità di funzioni. Il “federalismo fiscale” è usato per designare la scelta di spostar progressivamente su ogni livello territoriale il compito di procurarsi entrate necessarie per l’esercizio delle proprie competenze.

C) I Collegi. Esse sono strutture composte da più membri , perché il potere è si attribuito al collegio, ma le decisioni sono assunte da diversi “soggetti” che lo compongono. Il collegio è l’alternativa alla titolarità monocratica dell’ufficio. L’organo collegiale è creato per assicurare la più attenta valutazione delle questioni da decidere al fine di diminuire le possibilità di errore o d’arbitrio (cosiddetti “collegi reali” tipica formula degli organi giurisdizionali) ovvero far partecipare gli interessati o i loro rappresentanti alle decisioni che li riguardano (cosiddetti ”collegi virtuali” perchè non è necessaria la presenza di tutti i membri per assumere le decisioni: questa formula ricorre negli organi amministrativi). I portatori degli interessi che fan parte dell’organo possono avere interessi omogenei (esempio: collegio professori) o eterogenei (esempio: comitato interministeriale) ovvero far parte dell’uno o dell’altro tipo(esempio: consiglio di istituto che vede presenti varie categorie di addetti e utenti del servizio scolastico). I collegi sono diversi. Non esiste una normativa generale che li regola, salvo alcuni principi giurisdizionali che sono divenuti cogenti. Le norme di legge possono esser ispirate al criterio della garanzia (quindi modi formalizzati di convocazione, possibilità che essa sia richiesta da un certo numero di componenti) ovvero dal criterio dell’efficienza (si concretizza nella possibilità di convocazioni in via breve ecc.)

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