Il filosofo siciliano Benedetto Croce distingue tra due forme di liberalismo: la prima di stampo europeo guarda ai diritti, agli interessi ed in evidente contrasto con lo Stato etico; la seconda di matrice italiana e tedesca ha invece una forte intonazione etica e rigetta l’atomismo e le finzioni del parlamentarismo.

Un nuovo protagonista della vita politica, il partito politico, non trova facile accoglienza nel laboratorio teorico di Croce, prima d’ogni altra cosa preoccupato di sterilizzare ogni disturbatore dell’ordine. Il partito ai suoi occhi rappresenta un elemento di conflitto che indebolisce il bisogno di unità e concordia.

Il disegno Crociano è quello di uno stato forte in grado di tenere alti i valori della tradizione patria. Croce sostiene che l’uomo non è niente in quanto astratta individualità ed è tutto in quanto concorda col tutto. Egli scrive che nel più libero degli stati come nella più oppressiva delle tirannidi, il consenso c’è sempre, e sempre è forzato, condizionato e mutevole.

I corollari della dottrina politica crociano sono costituiti da una profonda avversione per la democrazia, per l’avanzamento politico della plebe, per il giusnaturalismo.

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