La qualificazione di un atto come invalido è il presupposto perché coloro che ritengono i propri interessi lesi dall’atto possano utilizzare alcuni dei mezzi di tutela giurisdizionale previsti. Le stesse pubbliche amministrazioni, peraltro, dispongono di poteri che consentono loro di svolgere procedimenti (c.d. di secondo grado) volti a rimediare alla loro invalidità, ossia:

  1. a eliminare le cause dell’invalidità dell’atto;
  2. a eliminare l’atto invalido.

Atti che eliminano le cause di illegittimità dell’atto (sanatorie)

Le c.d. sanatorie (o convalide) eliminano il vizio dell’atto illegittimo con effetto retroattivo, senza incidere sul contenuto della decisione. Dottrina e giurisprudenza giustificano l’utilizzo della sanatoria alla luce del principio di economicità, che richiede di evitare lo svolgimenti di dispendiose attività amministrative che non abbiano un’effettiva utilità: sarebbe inutile, infatti, annullare un provvedimento qualora la conclusione non sarebbe diversa da quella originaria, anche se presa illegittimamente. La sanatoria, quindi, viene ammessa:

  • per i vizi di incompetenza, convalidabili dall’organo competente che faccia suo un atto erroneamente preso da un altro organo. Nel caso in cui ricorra tale vizio, la sanatoria deve essere tenuta distinta da altri istituti:
    • la ratifica, ossia l’atto con il quale l’organo competente fa suo il provvedimento emanato legittimamente da un altro organo in particolari circostanze;
    • l’atto confermativo, ossia l’atto che, aderendo ad una richiesta di riesame, viene preso dallo stesso organo competente, con lo stesso contenuto e sulla base degli stessi elementi istruttori e della stessa motivazione del precedente.
    • per i vizi attinenti al procedimento e consistenti nella mancanza di atti endoprocedimentali (es. proposte, richieste, nullaosta), convalidabili mediante l’emanazione tardiva dell’atto omesso avente un contenuto tale da non modificare la conclusione cui si era pervenuti in sua mancanza;
    • per i vizi derivanti da errori ostativi.

Al contrario, si dubita che siano sanabili i vizi consistenti nella mancanza di atti destinati ad orientare la decisione (es. pareri obbligatori). La giurisprudenza, peraltro, ha ammesso che la sanatoria possa operare anche dopo che il provvedimento sia stato emanato e anche nel corso del giudizio, quando si lamenta la violazione dell’art. 3 della LPA (es. mancanza della motivazione).

Con la riforma della l. n. 15 del 2005 della LPA, il legislatore ha previsto la possibilità di convalida del provvedimento annullabile , subordinandola a due condizioni di complicata interpretazione (art. 21 nonies co. 2):

  • che sussistano ragioni di interesse pubblico;
  • che il provvedimento di sanatoria intervenga entro un termine ragionevole.

L’utilità di questo istituto, peraltro, è evidentemente ridotta, dato il disposto dell’art. 21 octies di cui sopra, il quale tuttavia ha limiti di applicazione piuttosto ampi.

Insanabilità del provvedimento nullo

Quanto alle cause di invalidità sanzionate con la nullità, occorre ricordare che l’atto nullo non può essere sanato (o convalidato), potendosi al massimo pensare ad una sua conversione, qualora abbia i requisiti di sostanza e di forma di un altro atto che possa ritenersi effettivamente voluto.

Atti che eliminano l’atto invalido

Il rimedio alternativo alla sanatoria di cui dispone un’amministrazione è l’annullamento dell’atto, cui sono riconosciuti effetti ex tunc sia con riferimento agli atti nulli sia con riferimento a quelli illegittimi. L’annullamento, nelle ipotersi previste dalle legge, può essere operato anche di ufficio, ossia senza che altri ne abbiano fatto richiesta:

  • l’annullamento in sede di controllo amministrativo di legittimità, caso in cui, una volta constatata l’illegittimità dell’atto, il suo annullamento costituisce esercizio di un’attività vincolata;
  • l’annullamento, per motivi di legittimità, disposto dai Ministri nei confronti degli atti dei dirigenti;
  • l’annullamento straordinario a tutela dell’unità dell’ordinamento, che spetta in qualunque tempo al Governo con riguardo agli atti amministrativi illegittimi;
  • l’annullamento da parte dell’organo che lo aveva emanato o da un organo gerarchicamente sovraordinato. Questo potere veniva ricompreso nel potere generale dell’amministrazione di autotutela (potere di riesame), tuttavia, dato che un potere generale di accertare le illegittimità degli atti spetta solo ai giudici e dato che con l’annullamento di ufficio di un atto efficace si può incidere unilateralmente su diritti e interessi legittimi, anch’esso può considerarsi autoritario, dovendo necessariamente trovare fondamento nella legge.

L’art. 21 nonies, introdotto con la riforma del 2005, prevede in termini generali che il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21 octies può essere annullato di ufficio […] dall’organo che lo ha emanato o da altro organo previsto dalla legge . Attualmente, quindi, viene sicuramente escluso che, in mancanza di previsione espresse in tal senso, si possa ritenere titolare di un simile potere un organo sovraordinato a quello che ha emanato l’atto illegittimo.

La previsione dell’organo competente, tuttavia, costituisce un garanzia insufficiente se paragonata a quella del giudice. L’art. 21 nonies, quindi, condiziona la legittimità dell’annullamento di ufficio all’esistenza di tre condizioni:

  • che ne sussistano le ragioni di interesse pubblico, non bastando che l’amministrazione ritenga l’atto illegittimo;
  • che si tenga conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati (principio del legittimo affidamento);
  • che sia pronunciato entro un termine ragionevole dal momento in cui è stato emanato l’atto che si annulla.

Il termine revoca viene talvolta utilizzato per indicare qualsiasi atto di un organo che abbia per effetto l’eliminazione di un atto proveniente dallo stesso organo (art. 21 quinquies). In alcuni casi, tuttavia, atti considerati di revoca possono presentare analogie con l’annullamento di ufficio (es. un atto che viene ad incidere su un altro atto, emanato sulla base di un presupposto normativo non più sussistente).

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