L’avvio

Nel caso l’iniziativa procedimentale sia d’ufficio, è la stessa amministrazione procedente a deliberare l’avvio del procedimento, essendosi verificato il presupposto al quale la legge ricollega l’emanazione del provvedimento. Questo presupposto può essere una situazione giuridica (come l’emanazione di una legge, di una sentenza o di un atto amministrativo ovvero la scadenza di un termine) o una circostanza di fatto (la commissione di un illecito, una situazione di pericolo, l’esigenza di acquistare un bene o di assumere un impiegato). Delle circostanze di fatto l’amministrazione può venire a conoscenza in vari modi, per esempio attraverso un’attività di vigilanza o a seguito di una denuncia con la quale un fatto o una situazione le vengano segnalati.

Nel caso dell’iniziativa procedimentale di parte, il procedimento consegue a un’istanza del soggetto interessato, della quale l’amministrazione deve comunque operare una sommaria valutazione: non sempre, infatti, l’istanza dell’interessato fa sorgere l’obbligo di provvedere. L’iniziativa può anche essere di un’altra pubblica amministrazione: Uno dei principi di carattere generale stabiliti dalla legge n. 241/1990 è quello della comunicazione dell’avvio del procedimento, prevista dall’art. 7 al fine di consentire la partecipazione degli interessati al procedimento. Essa è espressione, appunto, dei principi di partecipazione e – per i procedimenti volti all’emanazione di provvedimenti restrittivi – del giusto procedimento.

I destinatari della comunicazione sono: i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; quelli che per legge devono intervenire nel procedimento; quelli, individuati o facilmente individuabili e diversi dai diretti destinatari, ai quali dal provvedimento possa derivare un pregiudizio (quindi, che siano titolari di interessi oppositivi). La comunicazione può essere fatta senza particolari formalità, purché contenga le informazioni indicate dall’art. 8, legge n. 241/1990.

La sua omissione determina un vizio del procedimento e, quindi, l’invalidità del provvedimento finale (che, tuttavia, può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista). La comunicazione dell’avvio del procedimento, in base all’art. 13, legge n. 241/1990, è esclusa per i procedimenti di formazione di atti normativi e di atti amministrativi generali, per quelli di pianificazione e di programmazione e per quelli tributari.

Inoltre, la giurisprudenza applica l’istituto della comunicazione dell’avvio del procedimento in modo alquanto restrittivo. Da un lato, essa spesso esclude la sussistenza dell’obbligo per determinati tipi di procedimento: non solo quelli segreti o riservati (come quelli in materia di pubblica sicurezza), il cui esito sarebbe vanificato se il destinatario ne fosse a conoscenza; ma anche quelli vincolati, nei quali la partecipazione sarebbe inutile; e quelli a iniziativa di parte, dato che l’interessato sarebbe già a conoscenza del procedimento, essendone stato il promotore.

Dall’altro, essa ritiene che l’omissione della comunicazione non determina invalidità del provvedimento se l’interessato è comunque venuto a conoscenza dell’inizio del procedimento e, a volte, pone a carico dell’interessato l’onere di provare il pregiudizio ricevuto dall’omissione e dalla conseguente impossibilità di partecipare al procedimento.

 

L’istruttoria e il responsabile del procedimento

L’istruttoria, sia essa segreta, riservata o aperta, serve a due scopi: acquisire gli interessi e consentire la rappresentazione dei fatti. I primi vengono raccolti attraverso dichiarazioni di giudizio, per lo più definite pareri; i secondi vengono acquisiti attraverso dichiarazioni di scienza, quali le ispezioni, le certificazioni, ecc.

Né gli uni, né gli altri sono elementi probatori, perché devono essere solamente verificati; ugualmente, essi non sono ordinati rispetto alla decisione allo stesso modo delle prove, anche perché nei procedimenti ad iniziativa dei privati non si applica il principio dell’onere della prova (dunque, anche sotto questo ulteriore profilo, il procedimento si differenzia dal processo).

Gli art. 4, 5 e 6, legge n. 241/1990, introducono il principio del responsabile del procedimento. Anche questo principio ha carattere residuale, in quanto si applica quando un responsabile non sia già stato espressamente individuato da altra norma. Il procedimento per la determinazione del responsabile, che è caratterizzato da ampio grado di pubblicità, è il seguente: le pubbliche amministrazioni stabiliscono, per ogni procedimento, l’unità organizzativa responsabile e, nell’ambito del personale preposto a quest’ultima, il dirigente individua il responsabile (se non lo fa, lo è egli stesso).

Compito del responsabile è quello di seguire il procedimento sino alla fase finale di emissione del provvedimento (a partire dall’istruttoria): a tal fine, può valutare i presupposti, acquisire atti e fatti, proporre l’indizione di conferenze di servizi, curare comunicazioni, pubblicazioni e notificazioni, promuovere l’adozione e adottare direttamente il provvedimento conclusivo.

 

L’attività consultiva

I pareri si definiscono obbligatori o facoltativi, in relazione all’esistenza dell’obbligo di richiederli. In relazione all’obbligo di attenervisi, invece, si definiscono vincolanti o non vincolanti. Gli art. 16 e 17, legge n. 241/1990, trattano del termine entro il quale pareri e valutazioni tecniche devono essere rese nell’ambito del procedimento amministrativo: se non è già fissato da leggi o regolamenti, il termine è di 90 giorni dalla richiesta (ma, per particolari motivi, può essere raddoppiato per i pareri).

Decorso il termine, la pubblica amministrazione che ha chiesto il parere può procedere indipendentemente da esso; mentre quella che ha bisogno di valutazioni tecniche può rivolgersi ad altri organi amministrativi, a enti pubblici o ad istituti universitari. Tali disposizioni, comunque, non si applicano in caso di pareri che debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini.

Gli art. 9 e 10, legge n. 241/1990, sanciscono il principio dell’intervento nel procedimento e della presentazione di memorie scritte e documenti. In tal modo, i soggetti che intervengono possono sia partecipare, sia collaborare, sia difendere i propri diritti ed interessi: dunque, nel procedimento amministrativo, l’intervento è multifunzionale, in quanto tende a soddisfare esigenze democratiche, di efficienza e di garanzia.

Altro diritto sancito dalla legge n. 241/1990 è quello di prendere visione degli atti del procedimento: esso è riconosciuto sia ai soggetti destinatari della comunicazione di inizio del procedimento, sia a qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, sia ai soggetti portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati. Sono esclusi gli atti, espressamente individuati, per i quali non è previsto il diritto di accesso e quelli per i quali non vi obbligo di comunicare l’avvio del procedimento.

 

Gli accordi tra amministrazioni e interessati

L’art. 11, legge n. 241/1990, prevede, in generale, la possibilità di stipulare accordi tra pubblica amministrazione e interessati per determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale, c.d. accordo procedimentale (o integrativo o preliminare), nonché, ma solo in casi indicati dalla legge, accordi sostitutivi di provvedimento.

Gli accordi tra amministrazioni e interessati sono adottati su iniziativa di parte, per atto scritto a pena di nullità e sono sottoposti alle disposizioni del codice civile su obbligazioni e contratti, in quanto compatibili. È un’indicazione importante: in via generale (per esempio, ai fini dell’interpretazione o in caso di inadempimento di una delle parti) si applicano le regole del contratto e non quelle del provvedimento amministrativo.

La norma, tuttavia, impone un delicato giudizio di compatibilità delle norme del codice civile con la peculiarità degli accordi. In un caso, il problema della compatibilità è risolto dalla legge stessa: si tratta del recesso unilaterale, che è consentito all’amministrazione ”per sopravvenuti motivi di pubblico interesse”.

Si tratta di un’alterazione dello schema paritario tipico della disciplina del contratto, temperata però da una limitazione e da una garanzia: i motivi di pubblico interesse devono essere sopravvenuti (per esempio, una nuova tecnologia, che renda inutilmente dispendioso o inutilmente inquinante l’impianto per la cui costruzione era stato concluso l’accordo); al privato è dovuto un indennizzo per l’eventuale pregiudizio subito (nell’esempio, le spese sostenute vanamente).

Entrambe sono soluzioni intermedie tra la disciplina del provvedimento e quella del contratto: il provvedimento può, di regola, essere revocato anche se l’interesse pubblico è preesistente e la revoca non obbliga l’amministrazione a corrispondere un indennizzo; dal contratto non si può, di regola, recedere unilateralmente e l’inadempimento obbliga al risarcimento del danno (che, come è noto, è più di un indennizzo).

 

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