I soggetti chiamati a prendere una decisione devono essere imparziali, ossia non devono avere interessi propri coincidenti o contrapposti a quelli che sono oggetto della loro decisione (conflitto di interessi). Di tale principio sono ritenute espressione alcune disposizioni legislative che, con riferimento agli amministratori locali, stabiliscono l’obbligo di astensione dalla discussione e dalla votazione di deliberazioni riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini entro il quarto grado. Disposizioni analoghe sono contenute nel codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni le cui disposizioni costituiscono esemplificazioni degli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità che qualificano il corretto adempimento della prestazione lavorativa .

L’imparzialità, comunque, oltre ad un profilo soggettivo, ne ha anche uno oggettivo, che riguarda specificamente le modalità delle decisioni discrezionali. Sotto questo aspetto, in particolare, il principio di imparzialità potrebbe ritenersi equivalente ad un’applicazione di specie del principio di uguaglianza. Il concetto di imparzialità, tuttavia, se inteso soltanto in questo modo, apparirebbe superfluo e soltanto accessorio rispetto all’art. 3 Cost.

Oltre a quello di parità di trattamento, quindi, al principio di imparzialità si attribuisce un ulteriore significato, quello per cui risulta essere imparziale la decisione presa dopo aver considerato e ponderato adeguatamente i diversi interessi. Se concepita in questo modo, l’imparzialità viene a rappresentare un altro elemento costitutivo della discrezionalità amministrativa, nell’esercizio della quale, quindi, l’amministrazione si pone come “parte imparziale”:

  • da un lato si presenta come imparziale;
  • dall’altro risulta essere tenuta alla realizzazione dell’interesse pubblico primario.

L’esigenza che le amministrazioni considerino tendenzialmente tutti gli interessi in gioco viene concretamente realizzata non soltanto imponendo all’amministrazione il dovere di valutare autonomamente gli interessi rilevanti per le sue decisioni, ma soprattutto facendo in modo che gli stessi interessati abbiano parte alla decisione (c.d. istituti di partecipazione). Si è cercato di raggiungere tale obiettivo attraverso due modalità:

  • la partecipazione organica, con la quale si prevede che le decisioni vengano prese da organi collegiali composti dai diretti interessati o dai rappresentanti delle categorie interessate.

Tale metodo, tuttavia, è stato oggetto di molteplici critiche: secondo una branca della dottrina, infatti, la necessità di tener conto degli interessi rilevanti non giustifica la completa perdita di autonomia dell’amministrazione pubblica nei confronti degli interessati;

  • la partecipazione procedimentale, con la quale si persegue il risultato mediante regole riguardanti non soltanto la decisione amministrativa ma anche le diverse attività che la precedono e che servono a raggiungerla.

A tale partecipazione procedimentale, peraltro, possono essere assegnate diverse finalità:

  • assicurare un ulteriore strumento di tutela ai soggetti i cui interessi potrebbero subire un pregiudizio dalla decisione amministrativa;
  • acquisire tutti i contributi utili a pervenire alla migliore individuazione dell’interesse pubblico in concreto.
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