Il contrasto con Giovanni re d’Inghilterra nacque da un incidente di natura feudale. Nel 1202 un vassallo di Giovanni senza Terra, il conte della Marche Ugo, si era rivolto per chiedere giustizia al re di Francia, che in linea feudale era il superiore gerarchico del proprio signore, Giovanni. Costui gli aveva sottratto, ad un tempo, un castello e la futura sposa. Giovanni si rifiutò di comparire avanti al tribunale del re, e fu perciò condannato alla «commise», cioè a restituire al re suo signore i propri feudi, secondo quanto prescrivevano in casi simili le consuetudini di diritto feudale. La mancata esecuzione della sentenza da parte di Giovanni condusse ad una guerra nel corso della quale Filippo Augusto conquistò i territori della Normandia, del Maine, dell’Anjou e dell’Auvergne. Nel 1214 la storica vittoria di Bouvines ebbe l’effetto di consolidare stabilmente la rapida crescita della monarchia capetingia promossa da Filippo Augusto.

Il ricorso all’istituto della commise valse dunque a ricondurre sotto la potestà regia alcuni importanti principati territoriali. Ma ciò non comportava, di per sé, che al re spettasse il controllo delle signorie minori: una regola del diritto feudale stabiliva infatti che «il vassallo di un mio vassallo non è mio vassallo», sicché il vassallo di un vassallo del re era anzitutto tenuto all’obbedienza al proprio signore diretto, eventualmente anche contro il sovrano. La monarchia si batté con ogni mezzo per annullare gli effetti di tale principio, moltiplicando le infeudazioni dirette e gli omaggi «ligi» (cioè, preferenziali) a proprio favore. Gradualmente, un principio nuovo si fece strada: «tutti sotto la mano del re».

Tra gli strumenti del potere monarchico si affermò sin dal secolo XII lo strumento legislativo, cioè la facoltà di emanare ordinanze, dotate di validità generale sull’intero territorio del regno. I re di Francia vi fecero ricorso con frequenza crescente.

In una fase più antica si richiese l’assenso di ognuno dei vassalli regi, senza il quale un’ordinanza non poteva applicarsi all’interno del singolo feudo. Nel corso del Duecento fu ritenuto sufficiente l’assenso della maggioranza dei grandi vassalli. La dottrina coeva riconobbe espressamente il potere normativo del re, che tuttavia veniva ritenuto legittimo solo alla triplice condizione che mirasse al bene comune, fosse conforme alla ragione e scaturisse da una decisione presa dal re dopo aver consultato l’organo che riuniva i suoi maggiori consiglieri. Più tardi, dall’età di Filippo il Bello (1285-1314), anche tali limiti furono superati in forza della teoria e della prassi della piena sovranità del re.

Nel ventaglio crescente delle funzioni esercitate dalla monarchia, fondamentale fu il compito del mantenimento della pace. La «pace del re» si sostituì alle paci e alle tregue di Dio dei secoli X e XI, promosse dalla Chiesa in tempi in cui mancava un potere monarchico.

Nel 1155, Luigi VII, con l’accordo dei vescovi e dei baroni, impose la pace nel regno per la durata di dieci anni, minacciando di intervenire contro chi la violasse. Alle continue guerre private e alla catena senza fine delle offese e delle vendette armate la monarchia cercò di porre un argine con strumenti specifici, quali

  • la «quarantena del re» (una tregua imposta al momento in cui una nuova guerra privata stava per scoppiare);
  • ovvero l’asseurement (che consisteva nel giuramento incrociato di non farsi la guerra, prestato da due o più soggetti che ottenevano così la protezione del re, mentre erano passibili di pene irrogabili dai giudici regi se avessero infranto la pace giurata).

Questa formula di pace divenne in seguito coattiva, perché venne richiesta e ottenuta d’ufficio dai funzionari del re.

Nel 1257 Luigi IX il Santo impose una pace generale, abolendo in linea di principio tutte le guerre all’interno del regno. Queste non cessarono certo di colpo, ma col tempo diminuirono sino a sparire: nel secolo XV le guerre pri- vate erano ormai soltanto un ricordo.

L’aver posto a tali comportamenti dapprima un freno, in séguito un limite, e più tardi una fine costituì, per la monarchia capetingia, un fortissimo elemento di affermazione. La guerra si trasformò gradualmente in un evento proprio dei rapporti tra stati: un evento drammatico, comunque esterno allo stato. La garanzia della pace interna – istituzionalmente assicurata attraverso «il monopolio dell’uso della violenza», costituisce uno dei cardini della formazione degli stati europei. Frattanto la sovranità del re di Francia si andava affermando nei confronti delle due supreme autorità dell’ordine giuridico e politico medievale.

La tradizione storica ed i testi giuridici di Giustiniano ponevano l’autorità imperiale ad un livello superiore rispetto a quella regia. Il diritto giustinianeo venne riconosciuto dal re quale consuetudine praticata in talune regioni del regno.

In pari tempo, il principio della sovranità giunse ad affermarsi anche riguardo alla Chiesa. Negli anni della sua massima potenza, la monarchia pontificia aveva espresso, con Innocenzo III, la tesi di un «potere indiretto» del papa esteso anche alle materie temporali concernenti il regno: un potere esercitato ratione peccati, per evitare al re la caduta nel peccato.

Il conflitto del papato con i re di Francia divampò quasi un secolo più tardi, negli anni di Filippo il Bello e di Bonifacio VIII (1296-1303). Alla pretesa del re di far giudicare dai suoi giudici un vescovo che gli si era dichiarato ostile, il papa si rivolse al re con una bolla che lo invitava alla sottomissione ed indisse quindi un concilio di vescovi che avrebbe dovuto giudicare lo stesso re. Ivi anche i vescovi di Francia dichiararono di dovere i loro benefici episcopali al re, non a Roma.

E quando Bonifacio VIII nel 1302 affermò nuovamente in termini radicali la propria concezione teocratica con la bolla Unam sanctam il conflitto degenerò fino allo scontro di Anagni, ove il pontefice romano fu oltraggiato dall’inviato del re di Francia. La morte di Bonifacio VIII, l’avvento di un papa legato a Filippo il Bello (Clemente V), il trasferimento della sede pontificia ad Avignone (1309-77) condussero alla vittoria del- la monarchia. La Francia otteneva quello statuto peculiare nei rapporti tra Stato e Chiesa, che avrebbe preso più tardi il nome di gallicanesimo.

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento