L’indivisibilità e la trasmissione immediata della corona, il legame diretto o comunque prioritario tra il re e i feudatari di ogni grado, il precoce esercizio della potestà legislativa e delle funzioni di garante della pace, infine l’indipendenza della monarchia dalle due supreme potestà dell’impero e del papato costituivano strumenti di autorità e di potere di grande momento. Essi tuttavia non erano ancora sufficienti a garantire un governo effettivo sul territorio da parte del re di Francia. Tale obiettivo venne perseguito con la creazione e con la trasformazione di una pluralità di istituzioni centrali e periferiche, la cui vicenda storica si snoda, senza soluzione di continuità, sino alla fine dell’ancient régime.

Al centro, il re operava con l’ausilio di un gruppo di uomini di varia estrazione e formazione. Un rilievo particolare assunse il cancelliere, responsabile dei sigilli con cui gli atti regi venivano validati. È da notare che il cancelliere ebbe presto una relativa autonomia di valutazione nei confronti del re, in quanto poteva rifiutare l’apposizione del sigillo ad una lettera regia, o almeno scindere la propria responsabilità. Egli suppliva il re in caso di assenza ed aveva un rango preminente a capo del principale organo della giustizia regia, il Parlamento, ed a capo del Consiglio regio.

Appositi funzionari accoglievano e valutavano le istanze rivolte al re dai sudditi, sempre più numerose. Gli atti regi venivano redatti da notai specializzati, posti alle dipendenze del cancelliere; taluni di loro agivano in collegamento diretto con il re. A differenza delle «lettere patenti» munite del sigillo cancelleresco, gli atti emessi per ordine regio ma non validati con il sigillo presero la denominazione di «lettere chiuse», e gli estensori furono detti «segretari» dei re. Essi crebbero di numero. Nel Cinquecento alcuni di loro diverranno «Segretari di Stato». Un’ulteriore specializzazione condusse a destinarne alcuni all’emissione degli ordini di pagamento: i Segretari alle finanze.

Dalla corte regia, ancora indifferenziata nelle funzioni durante i secoli XI e XII, deriva anche il Conseil du roi (Curia in consiglio) l’organo centrale di governo della monarchia. Nel Consiglio, composto da personaggi scelti a discrezione del re, i membri di estrazione feudale col tempo si ridussero di numero, mentre si moltiplicarono i consiglieri di formazione giuridica, tanto più preziosi in quanto i compiti cui l’organo assolveva divenivano via via più complessi. Il Consiglio svolgeva attività di governo e di amministrazione: consigliando il re su questioni di guerra, di pace, di diplomazia; partecipando all’elaborazione delle leggi promulgate dal re, nominando i responsabili delle circoscrizioni locali (baillis); sorvegliando la gestione delle finanze. Il Consiglio svolgeva, inoltre, funzioni giudiziarie su richiesta del re, il quale non aveva perso il suo ruolo di supremo giudice: dal Consiglio si sviluppò nel XIV secolo il Gran Consiglio.

In circostanze eccezionali, alla monarchia poteva riuscir utile di coinvolgere nelle decisioni di natura legislativa o fiscale i diversi ceti dell’intero regno. I vassalli laici ed ecclesiastici ed i rappresentanti delle città regie furono per la prima volta convocati congiuntamente nel 1302, al momento dell’acceso contrasto tra Filippo il Bello ed il papa: nascevano così gli Stati Generali, destinati a svilupparsi nel Trecento e nel Quattrocento.

Gli Stati generali continuarono a riunirsi di tanto in tanto su convocazione dei re, ed assunsero col tempo un carattere più spiccatamente rappresentativo: non si trattò più di un gruppo di uomini legati al re da un vincolo individuale specifico di natura feudale, bensì di personaggi eletti dalle città, dai borghi, dal clero, dalla nobiltà. Alla fine del Quattrocento, in occasione degli Stati Generali del 1484, venne per la prima volta organizzata un’elezione capillarmente suddivisa per circoscrizioni territoriali.

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