La l. 69/2009 ha stabilito l’abrogazione con effetto immediato del rito societario introdotto con il d.lgs. 5/2003; solo i procedimenti in corso continueranno ad essere regolati dal rito speciale, mentre le cause di nuova instaurazione saranno regolate dal rito ordinario, come modificato dalla stessa legge.

Ciò significa che, a partire dal 4 luglio 2009, è applicato il rito ordinario, come modificato dalla stessa legge, anche alle controversie relative a:

1) rapporti societari, ivi compresi quelli concernenti le società di fatto, l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici e delle società cooperative;

2) trasferimento delle partecipazioni sociali, nonché ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti;

3) patti parasociali e accordi di collaborazione

4) rapporti in materia di intermediazione mobiliare da chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi i servizi accessori, fondi di investimento, gestione collettiva del risparmio e gestione accentrata di strumenti finanziari, ivi compresa la cartolarizzazione dei crediti, offerte pubbliche di acquisto e di scambio, contratti di borsa;

5) controversie in materia bancaria e creditizia promosse da una banca nei confronti di altra banca o da o contro associazioni rappresentative di consumatori o camere di commercio;

6) credito per le opere pubbliche.

Restano invece in vigore le norme che disciplinano l’arbitrato societario, e quelle relative alla conciliazione stragiudiziale nelle materie sopra citate

Il legislatore, nel regime previgente, regolamentava il procedimento in camera di consiglio con una peculiare regola per la competenza, che veniva radicata innanzi al tribunale ove la società aveva la sede legale. Presso tale ufficio giudiziario doveva depositarsi il ricorso introduttivo.

Diversa era la composizione del tribunale, a seconda che si trattasse di procedimento unilaterale o plurilaterale: nel primo caso decideva il tribunale monocratico, nel secondo il collegio, di fronte al quale era necessaria per le parti l’assistenza del difensore.

Nell’ambito di tali disposizioni comuni, si collocavano quelle relative alla forma, all’efficacia e al regime del provvedimento. Era prevista l’adozione, entro 20 giorni dal deposito del ricorso, o, se fissata, dall’udienza, di un decreto motivato con efficacia immediatamente esecutiva.

Diverse, invece, erano la stabilità e il regime previsti per il:

  • decreto di rigetto: aveva effetti preclusivi limitati; lasciava aperta la possibilità di depositare un nuovo ricorso quando esso fosse fondato su nuovi presupposti di fatto
  • decreto di accoglimento: era revocabile e modificabile «in presenza di nuove circostanze», su istanza della parte interessata o del pubblico ministero, previa audizione delle parti, dallo stesso giudice che lo aveva emesso; tuttavia, restavano salvi i diritti dei terzi in buona fede, fondati su convenzioni anteriori alla conoscenza della revoca e della modifica.

Il provvedimento, sia di accoglimento o di rigetto sia di revoca o modifica, era reclamabile con ricorso da proporsi entro 10 giorni dalla comunicazione. Sul reclamo decideva sempre un giudice collegiale, anche se il giudice competente variava a seconda dell’organo che aveva emesso il provvedimento oggetto del reclamo: la competenza, infatti, spettava al tribunale se ad essere reclamato fosse il provvedimento emanato dal giudice singolo o alla corte d’appello, se il provvedimento reclamato fosse stato pronunciato dal tribunale in composizione collegiale.

Nel procedimento del reclamo erano previsti in forme essenziali il contraddittorio fra le parti e una istruttoria deformalizzata, sia quanto ai poteri officiosi, sia quanto ai mezzi di prova utilizzabili: le informazioni ritenute necessarie venivano difatti assunte anche d’ufficio.

Il presidente del collegio poteva disporre, con decreto motivato, ove ricorressero gravi motivi, la sospensione del provvedimento reclamato, la quale dunque non conseguiva automaticamente alla mera proposizione del reclamo; o, ancora, poteva disporre, con decreto motivato non impugnabile, la conferma, modifica o revoca del provvedimento reclamato.

Nel procedimento unilaterale, il giudice designato per la decisione, ove ne avesse ravvisato l’opportunità, poteva fissare l’audizione della parte istante e assumere, nel corso dell’udienza, le informazioni ritenute necessarie, invitando l’istante a depositare documenti e a fornire chiarimenti.

Se il giudice disponeva la notificazione dell’istanza ad altri soggetti interessati e il procedimento veniva così a svolgersi nei confronti di due o più parti, diventava necessaria la rimessione al collegio.

Nel procedimento camerale nei confronti di due o più parti, il presidente del collegio doveva designare, senza indugio, un giudice relatore e fissare con decreto il termine per l’audizione delle parti in camera di consiglio, il termine per la notifica del ricorso e del decreto ai soggetti nei cui confronti veniva richiesto il provvedimento, nonché il termine per la costituzione di questi ultimi.

Anche in questo caso l’istruttoria era descritta in termini essenziali e deformalizzati o atipici, essendo consentito al collegio di assumere anche d’ufficio «le informazioni ritenute necessarie»; ma poteva essere affidata anche ad un giudice delegato, coincidente o meno con il giudice relatore.

Vi erano infine due peculiarità:

  • la possibilità, in caso di eccezionale e motivata urgenza, di pronuncia di un decreto presidenziale inaudita altera parte, cui segue necessariamente, entro i successivi 15 giorni, lo svolgimento dell’udienza nel contraddittorio fra le parti.
  • la domanda di accertamento incidentale su questione pregiudiziale poteva essere formulata nel corso del procedimento «fino alla conclusione delle udienze».

Quando una delle parti, entro tale termine, chiedesse che fosse decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale rispetto alla materia oggetto del procedimento camerale, il collegio provvedeva con decreto sulla istanza camerale, ma disponeva la prosecuzione del giudizio, fissando il termine per la notificazione dell’atto di citazione. Ciò importava che sulla causa pregiudiziale si doveva svolgere un giudizio nelle forme della cognizione piena, nel corso del quale, il decreto già pronunciato poteva essere modificato o revocato.

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