Il procedimento in camera di consiglio rappresenta un procedimento a cognizione sommaria in cui sono demandate al giudice praticamente tutte le modalità di svolgimento del giudizio e che si conclude con un decreto motivato, reclamabile ed efficace solo quando siano decorsi i termini senza che sia stato proposto reclamo:

  • artt. 374 e 375 c.c. (autorizzazioni): al giudice non viene rimesso il compito di risolvere controversie aventi ad oggetto diritti o status, ma quello di gestire interessi, in questo caso di minori. Si tratta di giurisdizione non necessitata (volontaria), nel senso che il legislatore, non essendo condizionato dall’art. 24, avrebbe potuto attribuire gli stessi compiti a soggetti terzi, diversi dal giudice (es. se tra coeredi che decidono di vendere un bene uno è minore, risulta necessaria un’autorizzazione della vendita da parte dell’autorità giudiziaria);
  • artt. 384 c.c. (revoca del tutore), 1129 c.c. (revoca dell’amministratore di condominio), 64 disp. att. e 2409 c.c. (revoca dell’amministratore della società per azioni) (revoche): in queste ipotesi sussiste certamente una qualche lite tra i protagonisti delle vicende. Quello che viene rimesso al giudice, tuttavia, non è la risoluzione della controversia, ma la gestione dell’interesse: i diritti coinvolti nella vicenda, infatti, non sono in nessun caso posti ad oggetto del processo camerale (giurisdizione non necessitata o volontaria).

Vicinissime alle ipotesi di revoca sono le ipotesi di rimozione della potestà genitoriale (art. 330 c.c. e l. n. 184 del 1983): in queste circostanze esiste una qualche lite, ma il procedimento viene costruito per consentire al giudice di gestire l’interesse del minore e non di intervenire a risolvere un conflitto tra le parti;

  • art. 814 e artt. 26 e 92 della legge fallimentare: in questi casi il legislatore ha voluto che il procedimento camerale fosse la veste processuale di controversie su diritti soggettivi. Mentre le ipotesi precedenti trattano di gestione di interessi, qui ci troviamo di fronte a vere e proprie forme di giurisdizione contenziosa, che il legislatore ha ritenuto di rivestire delle forme della tutela camerale per ragioni di celerità. La Corte di cassazione, in particolare, ha riconosciuto che il procedimento camerale può essere considerato un contenitore neutro nel quale il legislatore può inserire nella propria discrezionalità anche la risoluzione delle controversie su diritti soggettivi. Mentre la dottrina insiste sulla necessaria correlazione tra diritti soggettivi, processo a cognizione piena e decisione con efficacia di giudicato, quindi, la giurisprudenza ritiene che il legislatore abbia un notevole margine di discrezionalità nello scegliere il processo adatto a ciascuna lite
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