La Commissione (generalmente designata con l’aggiunta europea) è composta attualmente di venti membri scelti in base alla loro competenza generale e tali da offrire ogni garanzia d’indipendenza. I membri devono essere cittadini degli Stati membri.

Il numero dei membri della Commissione può essere modificato dal Consiglio con voto all’unanimità (art. 213). Attualmente è stato fissato in venti affinché i quattro Stati grandi più la Spagna possano avere due commissari (le prospettive nella Comunità allargata sono alquanto incerte). Ogni Stato membro ha diritto ad avere un suo cittadino membro della Commissione.

Gli accordi di Nizza si sforzano di ridurre il numero di commissari in vista dell’imminente allargamento per conservare la struttura agile della Commissione. I paesi “grandi” hanno accettato di perdere il loro secondo commissario nel 2005. I paesi “piccoli” hanno ottenuto di conservare il loro rappresentante nella Commissione sinché l’Unione non supererà i 27 membri.

I membri della Commissione sono «scelti in base alla loro competenza generale», devono offrire «ogni garanzia di indipendenza» (art. 213, già 157, del Trattato CE e disposizioni corrispondenti) ed «esercitano le loro funzioni in piena indipendenza nell’interesse generale della Comunità»: «nell’adempimento dei loro doveri non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo né da alcun organismo». Dal canto suo «ciascuno Stato membro si impegna a rispettare tale carattere e a non cercare di influenzare i membri della Commissione nell’esecuzione del loro compito» (art. 213 del Trattato CE). Peraltro, la presenza all’interno della Commissione di un «proprio» commissario, o se del caso di due, costituisce per ogni Stato membro una garanzia del fatto che i suoi interessi saranno tenuti nella dovuta considerazione. È escluso comunque che gli Stati dispongano di un potere di revoca del commissario che hanno designato (cosa che potrebbe apparire desiderabile, considerata la qualificazione «nazionale» di cui si è detto, in caso di mutamento della maggioranza di governo).

Qualsiasi membro della Commissione che non risponda più alle condizioni richieste o abbia commesso una colpa grave può essere dichiarato dimissionario dalla Corte di giustizia su istanza del Consiglio o della Commissione (art. 216).

A partire dal Trattato di Maastricht i commissari durano i carica cinque anni, in maniera che il loro mandato coincida con quello di una legislatura del PE e sono rieleggibili.

Sino ad oggi il Presidente è stato designato dagli Stati membri di comune accordo, cioè all’unanimità. Con il Trattato di Amsterdam è stato associato agli Stati membri nella scelta degli altri commissari. Tutti sono poi soggetti all’approvazione da parte del Parlamento.

Il Trattato di Nizza prevede un rafforzamento ulteriore dei poteri del Presidente che diviene il vero capo della Commissione. Lui e gli altri membri sono designati a maggioranza qualificata dal Consiglio costituito al livello dei capi di Stato o di governo. Il Presidente assegna i portafogli agli altri Commissari e può anche spostarli.

Permane l’approvazione da parte del Parlamento europeo.

Con una disposizione nuova inserita nell’art. 219, il Trattato di Amsterdam ha stabilito che «la Commissione agisce nel quadro degli orientamenti politici del suo Presidente».

Dalla Commissione dipende uno staff di quasi 20mila persone

  1. a) La Commissione vigila sull’applicazione delle disposizioni contenute nei trattati e sulle decisioni prese dalle istituzioni adoperandosi perché persista un’atmosfera di fiducia reciproca. Se la Commissione svolge efficacemente la sua opera, ogni membro potrà adempiere senza riserve i suoi obblighi, nella certezza che gli altri faranno lo stesso e che ogni violazione dei trattati sarà repressa. Tutto il sistema comunitario funzionerà quindi in modo soddisfacente.

Nessuno Stato membro può addurre a pretesto una trasgressione compiuta dai suoi partners per non adempiere i propri obblighi. Nel sistema comunitario integrato, il principio inadimplenti non est adimplendum non ha valore né nei rapporti degli Stati inter se, né nei rapporti con la Comunità in quanto tale: v. CGCE 13-XI-1964, in causa 90-91/63, Raccolta, p. 1199.

In caso di trasgressione, il compito di accertare e valutare i fatti è di competenza della Commissione, nella sua qualità di organo imparziale. È ad essa che spetta poi di far conoscere allo Stato incriminato, sotto controllo della Corte di giustizia, i provvedimenti da attuare per regolarizzare la situazione.

Quando ritiene che sia stata commessa un’infrazione – a siffatta conclusione si può arrivare in seguito ad un’indagine avviata su iniziativa dei propri servizi, oppure su richiesta di un governo, oppure anche in seguito alla denuncia di privati cittadini – la Commissione invita lo Stato in questione a presentare le sue osservazioni o le sue giustificazioni entro un termine di tempo determinato (generalmente due mesi). Se lo Stato membro mantiene il provvedimento in causa e le osservazioni da esso formulate non inducono la Commissione a modificare il proprio punto di vista, quest’ultima gli rivolge un parere motivato, al quale lo Stato membro è tenuto a conformarsi entro la data fissata (normalmente due mesi). In caso d’inadempienza, la Commissione può adire la Corte di giustizia, ed avviare una procedura che conduce ad una sentenza vincolante sia per lo Stato membro che per le istituzioni comunitarie.

  1. b) I Trattati conferiscono direttamente alla Commissione estesi poteri amministrativi; altri le sono stati conferiti dal Consiglio, principalmente in sede CE, per rendere possibile l’applicazione degli atti emanati in base al Trattato (il cosiddetto «diritto comunitario derivato»). Le «modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione» conferite alla Commissione sono disciplinate in vari atti e da ultimo, in maniera generale, dalla decisione del Consiglio 87/373/CEE del 13 luglio 1987.

In questo modo la Commissione può emanare un regolamento che, pur avendo la stessa denominazione dell’atto che intende integrare (il regolamento del Consiglio) ed essendo posteriore dal punto di vista normativo, è subordinato ad esso. Se il regolamento della Commissione non si attiene ai limiti della delega, la Corte di giustizia potrà annullarlo per lo straripamento dai confini della delega (in modo analogo la Corte costituzionale italiana controlla gli atti normativi adottati dal governo, che prendono la forma di decreto del Presidente della Repubblica, su delega – che deve essere delimitata nel tempo e nell’oggetto – del Parlamento).

I poteri di questo genere, direttamente attribuiti dai Trattati o conferiti alla Commissione dal Consiglio, possono essere raggruppati in alcune categorie fondamentali.

Competenze normative dirette sono state assegnate alla Commissione per tutto ciò che si riferisce all’instaurazione dell’unione doganale secondo il calendario fissato dal Trattato stesso.

Con il perfezionamento dell’unione doganale queste ultime si sono estinte (a parte qualche sopravvivenza come l’art. 39, 3 d, relativo al diritto di soggiorno dei lavoratori in pensione) e sono rimasti solo certi poteri come quelli previsti in materia di imprese pubbliche (facoltà di emanare direttive e decisioni: art. 86, 3) e in pochissimi altri settori. Assai più importanti sono i poteri legislativi delegati dal Consiglio (vedi sotto).

– La Commissione ha il potere di applicare le disposizioni dei Trattati ai casi particolari (siano esse dirette ad uno Stato o ad un’impresa).

Nel Trattato CE sono da segnalare i poteri conferiti dal Consiglio alla Commissione per l’attuazione, generalmente mediante l’emanazione di regolamenti, delle politiche comuni (agricoltura, pesca, politica commerciale, ambiente, norme tecniche, ecc.) nonché le prerogative assegnate alla Commissione dal Trattato CE, specialmente nel campo della concorrenza (controllo delle intese e delle posizioni dominanti, autorizzazione delle concentrazioni, controllo o eliminazione delle sovvenzioni pubbliche, repressione delle discriminazioni fiscali, ecc.).

Vi è da segnalare la pratica della comitologia, introdotta dapprima in linea di fatto e poi codificata con una decisione del Consiglio del 13 luglio 1987 (87/373), con la quale la gestione di talune attività – ad es. le organizzazioni comuni di mercato in agricoltura – viene affidata a comitati costituiti da esperti degli Stati membri e rappresentanti della Commissione. Criticata per la riduzione dei poteri della Commissione che provocava, questa pratica ha resistito al vaglio della Corte di giustizia (24-X-1989, causa 16/88, in Raccolta, 1989, p. 3457).

Infine il Trattato dell’Euratom affida alla Commissione compiti di gestione di ampiezza paragonabile a quelli del Trattato della CECA, soprattutto in ordine all’approvvigionamento di materiale fissile, alla protezione delle radiazioni, al controllo degli impianti nucleari e alla diffusione delle conoscenze.

  • – La Commissione ha il potere di gestire le clausole di salvaguardia dei trattati, cioè le clausole che in casi eccezionali consentono l’autorizzazione di deroghe alle norme fissate nei trattati. Più importante in passato (nella prospettiva di un’evoluzione in senso federale), questo potere è sopravvissuto anche dopo il Trattato di Maastricht (art. 134 CE).
  • – La Commissione gestisce gli stanziamenti destinati agli interventi pubblici delle Comunità, nonché i grandi Fondi comunitari: innanzitutto il Fondo sociale europeo (FSE), volto principalmente a sviluppare la formazione professionale dei lavoratori per facilitare l’occupazione e la mobilità professionale, le cui regole sono state recentemente (1983) rivedute per meglio adattarlo agli attuali problemi di disoccupazione giovanile (esso ha una dotazione annua di circa 2 miliardi di ECU); il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEOGA) che garantisce il finanziamento integrale delle misure di organizzazione e di sostegno dei mercati agricoli decise dalla Commissione. È questo il solo settore in cui una politica comune ricopre tutto un settore economico (salvo alcuni prodotti: ad es. le patate) e in cui il finanziamento è integralmente deciso e sostenuto dalla Comunità (l’agricoltura vale il 60% del bilancio della Comunità, mentre i Fondi di sviluppo ne impegnano l’11% e le spese amministrative l’8% circa). Vi sono poi il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) che contribuisce a correggere gli squilibri regionali nella Comunità ed il Fondo europeo di sviluppo (FES), per l’aiuto ai paesi in via di sviluppo, che funziona in base a convenzioni periodiche concluse fra la Comunità e i suoi Stati membri, da un lato e, dall’altro, gli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (Stati ACP), che in precedenza avevano relazioni particolari con gli Stati membri (ricordiamo le convenzioni di Lomé). Alla convenzione «Lomé IV», firmata il 15 dicembre 1989, aderivano 69 Stati ACP (oltre i 12 membri).

Con il Trattato di Maastricht è stato istituito il Fondo di coesione per sostenere finanziariamente «progetti in materia di ambiente e di reti transeuropee nel settore delle infrastrutture e dei trasporti».

  1. c) Nei settori già di competenza della CECA e dell’Euratom i compiti di gestione e di controllo dell’Alta Autorità e della Commissione nell’Euratom avevano carattere prioritario; il carattere settoriale di tali Comunità rendeva più difficile l’elaborazione di politiche comuni limitate al loro settore.

Per quanto riguarda la CE, tutto ciò che nel Trattato (che è un «trattato-quadro») riguarda l’unione economica è stato lasciato in bianco, ma gli «spazi vuoti» possono essere riempiti dalle istituzioni della Comunità, senza che si debbano concludere nuovi trattati od ottenere nuove ratifiche parlamentari, con una «legislazione» che, come è stata realizzata per l’agricoltura nel 1962, ha una portata paragonabile a quella del trattato CECA.

  1. d) Riepilogando, si può dire che alla Commissione viene riconosciuta una serie di poteri articolati nel modo seguente:

– potere di controllo: la funzione di guardiano del Trattato (o meglio dei trattati) è rafforzata da tre prerogative specifiche: il diritto di iniziare una procedura giudiziaria contro uno Stato ritenuto colpevole di infrazione del Trattato; il diritto di ottenere dagli Stati o dalle imprese tutte le informazioni di cui ha bisogno per svolgere le proprie funzioni e procedere alle necessarie verifiche (art. 284 CE, 187 Euratom, 47 CECA); il diritto di adottare delle misure repressive in caso di violazione del Trattato (ammende e penalità di mora contro le imprese che violano le regole di concorrenza secondo l’art. 83, 2, a, Trattato CE; sanzioni pecuniarie o penalità di mora secondo la regola generale dell’art. 36 CECA etc.);

– potere normativo: generalmente a titolo di esecuzione delle misure adottate dal Consiglio (nella CE, sulla base dell’art. 202: nella CECA la situazione si presenta in termini diversi per la differente configurazione del rapporto tra le due istituzioni); inoltre con i propri poteri di iniziativa che generalmente sono esclusivi (la proposta della Commissione è, cioè, obbligatoria, anche se in alcuni casi essa può essere sollecitata dal Consiglio o dal Parlamento);

– potere di decisione;

– potere di raccomandazione: non soltanto quando ciò sia previsto ma «tutte le volte che la Commissione lo ritenga necessario» (quindi per tutta l’area del Trattato e a discrezione della Commissione).

– potere di gestione (per i Fondi);

– potere di negoziazione dei trattati internazionali (art. 300).

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