L’art. 300 sopra riprodotto si riferisce alle disposizioni del Trattato CE concernenti specifiche materie che prevedono una competenza della Comunità (forse oggi si direbbe meglio: l’Unione europea) a concludere accordi internazionali: l’art. 133 (già 113) in tema di politica commerciale, l’art. 310 (già 238) relativo agli accordi di associazione e gli artt. 111, 3 (già 109, 3); 170; 174, 4 e 181 (già 130M; 130R,4 e 130Y) concernenti le «modalità della cooperazione» con Stati terzi ed organizzazioni internazionali rispettivamente nei settori della ricerca e dello sviluppo tecnologico, dell’ambiente e della cooperazione per lo sviluppo.

Ma, ci si chiede, al di fuori di questi casi espressamente previsti – tutti, tranne i primi due, introdotti con l’Atto unico europeo o con il TUE – esiste un treaty-making power della Comunità europea?

Sembra di poter dire che siffatto potere non può essere negato alla Comunità dal momento che essa già dispone del potere di adottare atti normativi. Se a ciò non corrispondesse una competenza parallela a concludere accordi la Comunità non potrebbe integrare la propria normativa con accordi con Stati non membri. Si aggiunga che gli Stati membri potrebbero, di loro iniziativa, concludere con gli Stati terzi accordi confliggenti con la normativa comunitaria.

La Corte di giustizia è pertanto giunta, attraverso una serie di pronunce (nella maggior parte dei casi si tratta di pareri) ad affermare la regola – che si può considerare un’emanazione del principio dell’effetto utile – per cui ogni qualvolta le istituzioni comunitarie sono dotate di poteri per raggiungere uno specifico obiettivo, la Comunità ha la competenza a concludere gli accordi internazionali necessari per conseguirlo anche in assenza di specifiche previsioni del Trattato.

La questione si è posta, per la prima volta, nel caso AETR (o AETS: 31-III-1971, causa 22/70, in Raccolta, p. 263) al quale giustamente si riconosce importanza fondamentale.

Impugnando ex art. 173 (ora 230) una contraria presa di posizione del Consiglio, la Commissione sosteneva che, una volta formatesi regole comuni in materia di trasporti era sorto un potere esclusivo della Comunità di concludere accordi regolanti la materia sul piano internazionale: i poteri comunitari, benché all’inizio non si estendessero all’intero campo dei trasporti, erano tuttavia destinati ad assumere «sempre più un’indole generale ed esclusiva, parallelamente alla realizzazione di una politica comune in questo settore» (questa tesi fu poi detta del «parallelismo delle competenze»). Ad avviso della Commissione, l’art. 75 (ora 71) del Trattato – che prevede la competenza della Comunità in materia di trasporti – avrebbe perso grande parte della sua efficacia se la facoltà che esso contempla a favore del Consiglio di adottare «ogni utile disposizione» non avesse incluso la stipulazione di accordi con Stati terzi.

Il Consiglio si opponeva a questa tesi sottolineando che i poteri della Comunità sono poteri «attribuiti» e quindi che la competenza a concludere un determinato tipo di accordo con gli Stati terzi può essere ammessa solo se contemplata espressamente dal Trattato.

La Corte diede ragione alla Commissione affermando che indipendentemente dal fatto che il Trattato abbia, in una determinata materia, espressamente previsto un suo treaty making power, «tutte le volte che (per la realizzazione di una politica comune prevista dal Trattato) la Comunità ha adottato delle disposizioni contenenti, sotto qualsivoglia forma, norme comuni», in quella materia «gli Stati membri non hanno più il potere – né individualmente, né collettivamente – di contrarre con gli Stati terzi obbligazioni che incidano su dette norme». «Questa competenza comunitaria – conclude la Corte – esclude qualunque competenza concorrente degli Stati membri, dato che qualsiasi iniziativa presa fuori dell’ambito delle istituzioni comuni si deve ritenere incompatibile con l’unicità del mercato comune e con l’applicazione uniforme del diritto comunitario».

Successivamente, nel parere 1/76 (26-IV-1977, in Raccolta, p. 741) la Corte ha ribadito il potere della Comunità di assumere gli impegni internazionali necessari per raggiungere un obiettivo stabilito dal diritto comunitario «anche in mancanza di espresse disposizioni al riguardo» precisando che questa conclusione non s’impone soltanto quando «i poteri inerenti alla competenza interna siano già stati esercitati al fine di adottare provvedimenti destinati all’attuazione delle politiche comuni», ma «anche qualora i provvedimenti comunitari di carattere interno vengano adottati solo in occasione della stipulazione e dell’attuazione dell’accordo internazionale».

In base a questa giurisprudenza, la Comunità dispone del potere di concludere accordi qualora ciò sia necessario per esercitare una competenza ad essa attribuita dal Trattato: in questo caso, qualora la Comunità abbia esercitato le sue funzioni per attuare un obiettivo del Trattato, gli Stati membri perdono la loro competenza «esterna» (non è del tutto sicuro, però, che questa regola possa essere opposta ad uno Stato «terzo» per far valere l’invalidità di un accordo da esso concluso con uno Stato membro nel settore di competenza della Comunità).

Neppure possono essere opposte a terzi Stati contraenti le violazioni del diritto comunitario commesse dalla Comunità/soggetto internazionale nel concludere un trattato: questo resta pertanto valido (a parte il caso estremo che regoli una materia del tutto estranea alla competenza della Comunità, come per es. un’alleanza militare).

Agli accordi commerciali (regolamentazione degli scambi di beni e servizi e dei pagamenti relativi a tali scambi) ed agli accordi di associazione si sono così aggiunti altri accordi conclusi nei settori più diversi nei quali si svolge l’attività della CE: accordi sulla pesca, il primo dei quali è stato concluso con gli Stati Uniti nel 1977 ed è stato seguito da molti altri (con Svezia, Norvegia, Canada, Senegal etc.) relativi ai diritti di pesca dei marittimi della Comunità nelle acque territoriali di questi paesi; accordi in materia di trasporti, di protezione dell’ambiente, di politica energetica, ecc.

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