La previsione di limiti all’estensione temporale della prestazione lavorativa, in relazione alla giornata ed alla settimana, discende dall’esigenza di tutelare l’integrità fisica del lavoratore e la sua partecipazione alla vita familiare e/ o sociale. Nella XIII legislatura si sono manifestate linee di politica del diritto tendenti a favorire riduzioni generalizzate dell’orario di lavoro, in modo da distribuire fra il maggior numero possibile di persone le occasioni di lavoro a disposizione ( lavorare meno ma lavorare tutti ). Il Governo Berlusconi entrato in carica nel 2008, al contrario, ha inserito tra i primissimi provvedimenti una misura volta a ridurre il carico dell’imposta fiscale sui compensi retributivi per lavoro straordinario, così da indurre i lavoratori a svolgere di più questo tipo di prestazione. All’interno di questo quadro generale, la disciplina dell’orario di lavoro si è dipanata attraverso problematiche di non poco conto, legate all’incrocio tra le classiche istanze di salvaguardia della salute e quelle di flessibilità.

Dalla Costituzione (art. 36 co. 2) si ricava la necessità di stabilire per legge un limiti alla durata massima della giornata lavorativa:

  • all’epoca dell’emanazione della Carta, un sistema legale di limiti all’orario esisteva, ma era stabilito da leggi speciali: l’art. 1 co. 1 della storica disciplina del r.d.l. n. 692 del 1923, in particolare, prescriveva che la durata massima dell’orario di lavoro degli operai e impiegati non eccedesse le otto ore giornaliere e le quarantotto ore settimanali di lavoro. Al di sotto di tale tetto, quindi, si era liberi di praticare orari anche ridotti.

Il quadro legislativo è rimasto ancorato alla legge del 1923 fino al 1993, quando fu adottata la direttiva CE n. 104 del Consiglio dell’Unione europea, che, concernendo taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, sottolineò la necessità di una riforma organica della disciplina.

  • una prima revisione si ebbe con l’art. 13 della l. n. 196 del 1997 che introdusse un orario normale settimanale di quaranta ore e rese possibile la modulazione dell’orario su base plurisettimanale. Tale processo di riforma, tuttavia, si interruppe.
  • una seconda revisione si ebbe con il d.lgs. n. 66 del 2003 che, accorpando in un unico testo la disciplina dell’orario di lavoro e quella dei riposi, ha portato all’abrogazione di tutte le disposizioni precedenti, compreso l’art. 2107.

Il decreto n. 66, in particolare, ha fortemente rispettato il ruolo assegnato alla contrattazione collettiva, al punto di devolvere ad essa anche numerose facoltà di deroga in peius agli orari legali. Tale deleghi in bianco alla contrattazione collettiva, a loro volta, hanno aperto la strada ad una flessibilizzazione dei regimi di orario, come la cifra dominante della riforma del 2003, ulteriormente accentuata dalla novella della l. n. 133 del 2008

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