La rappresentatività presunta

Il pluralismo sindacale non consente l’affermazione di rappresentatività esclusive (salvo qualche rara eccezione come nel caso della federazione nazionale della stampa italiana, FNSI, che è l’unico sindacato rappresentativo dei giornalisti).

I diritti sindacali posti dal titolo III dello statuto erano attribuiti (articolo 19 lett. a) alle rappresentanze sindacali aziendali costituite nell’ambito delle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Questa norma è stata abrogata dall’esito positivo di uno dei referendum svoltisi l’11 giugno 1995. Tale abrogazione non ha invece investito le altre norme di legge che utilizzano la stessa o analoga espressione, per interpretare le quali è dunque ancora necessario far ricorso all’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale già prodotta in relazione alla norma, oggi abrogata, dello statuto.

Il criterio riassunto nelle formule “confederazioni maggiormente rappresentative” ed analoghe, implica un giudizio di rappresentatività che è stata definita “storica”, perché basata sul dato storico dell’effettività dell’azione sindacale svolta dalle grandi confederazioni: al momento dell’approvazione dello statuto dei lavoratori, che in tale nozione aveva uno dei suoi perni, vi erano pochi dubbi sul fatto che la storia e la realtà del sindacalismo italiano fosse una storia e una realtà di confederazioni. Il criterio storico è anche indicato come rappresentatività presunta.

 

Gli indici della maggiore rappresentatività

La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato alcuni indici:

  1. consistenza del numero degli iscritti,
  2. equilibrata presenza di un ampio arco di settori produttivi (coincide con la nozione di confederazione: per integrare lo stesso occorre che l’organizzazione rappresenti lavoratori di una pluralità di categorie e di una pluralità di ambiti territoriali),
  3. svolgimento di un’attività di contrattazione e, in genere, di autotutela con caratteri di effettività, continuità e sistematicità.

 

La crisi della maggiore rappresentatività

Questo metodo di selezione è entrato in crisi nella seconda metà degli anni ’80 e il referendum del 1995 ne è stato insieme sintomo ed aggravante. Il superamento del modello della produzione di massa o tayloristico, ha segmentato la forza lavoro in gruppi di interessi diversi, talvolta in conflitto tra loro. Ciò ha reso più difficile la sintesi organizzativa tradizionalmente operata dalle grandi confederazioni storiche e ha consentito la nascita di organizzazioni sindacali autonome, svincolate da legami di solidarietà con il resto del mondo del lavoro. In questo contesto è andata progressivamente attenuandosi l’idoneità del modello disegnato l’articolo 19 a rispecchiare l’effettività della rappresentatività.

La capacità rappresentativa delle grandi confederazioni non poteva più essere presunta, ma doveva in qualche modo essere verificata. Quando la verifica è stata operata, la maggiore rappresentatività della Cgil della Cisl e della Uil ne è uscita confermata e il peso dei sindacati autonomi è stato ridimensionato.

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