I ricorsi amministrativi, nei quali si sostanzia la tutela non giurisdizionale dei soggetti privati nei confronti degli atti della P.A., possono essere presentati soltanto da coloro che hanno un interesse diretto ed attuale, e possono avere la funzione di:

  • addurre la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi.
  • contenere censure di merito, ovvero sottolineare la illegittimità dell’atto amministrativo.

Tali ricorsi sono caratterizzati da termini perentori di presentazione, entro i quali sono da considerarsi irricevibili. Le autorità cui sono destinati hanno l’obbligo di prenderli in considerazione e di emanare pronunce o decisioni, che non hanno la forma di sentenze ma di atti amministrativi, con cui i ricorsi possono essere accolti (tramite annullamento, revoca o riforma dell’atto) o respinti.

Conosciamo tre tipi di ricorso amministrativo:

  • opposizione, ovvero il ricorso diretto alla medesima autorità che ha emanato l’atto. Tale ricorso deve contenere le ragioni per cui l’interessato invita l’amministrazione a ritornare sulle sue decisioni.
  • ricorso gerarchico, ovvero il ricorso di natura generale, che può essere proposto in via gerarchica alle autorità superiori, contro i provvedimenti delle rispettive autorità inferiori. Tale ricorso, che decade entro trenta giorni dalla pubblicazione, può essere utilizzato solo da chi vi abbia interesse, comprendendo sia giudizi di legittimità che di merito.
  • ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ovvero il ricorso ammesso soltanto per motivi di legittimità che deve essere proposto entro un termine di centoventi giorni. La decisione, solo formalmente nelle mani del Presidente della Repubblica, viene presa dal Governo, vincolato a prendere in considerazione il parere del Consiglio di Stato.

Si tratta di un rimedio alternativo e preclusivo del ricorso giurisdizionale, sebbene l’organo che ha emanato l’atto contestato possa, appunto, richiederne il trasferimento in sede giurisdizionale.

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