Carattere essenziale dei ricorsi amministrativi è la costituzione di un dovere di provvedere. Occorre quindi capire che cosa si verifica quando l’amministrazione non decida un ricorso. Dall’art. 6 del d.p.r. n. 1199 del 1971 e dall’art. 20 co. 1 della legge Tar si desume la fissazione di un termine di novanta giorni per la decisione del ricorso gerarchico ad opera dell’amministrazione, trascorsi i quali il ricorso si intende respinto. Occorre tuttavia stabilire quali siano gli effetti concreti prodotti dalla scadenza del termine e quale sia il rilievo da riconoscere al silenzio su un ricorso gerarchico:

  • una prima teoria apriva le porte ad un’evidente abuso: se il ricorso alla IV Sezione era ammesso solo contro un provvedimento definitivo, infatti, il silenzio poteva costituire per l’amministrazione un comodo espediente per evitare il sindacato giurisdizionale sui propri atti (ingiustizia);
  • la prima giurisprudenza del Consiglio di Stato prospettò la conclusione che, in concorso con altre circostanze, il silenzio mantenuto su un ricorso gerarchico (silenzio rigetto) non precludesse la possibilità di proporre il ricorso giurisdizionale. In un comportamento omissivo della pubblica amministrazione, quindi, si individuava un atto amministrativo;
  • nella seconda metà del Novecento, il superamento dell’interpretazione del silenzio rigetto ha condotto ad elaborazioni diverse ad opera del Consiglio di Stato. Nel 1978, l’Adunanza plenaria riprese in esame la questione e pervenne alla seguenti conclusioni:
    • nel silenzio mantenuto su un ricorso gerarchico non si identifica un provvedimento di rigetto, dato che la legge si limita ad attribuire valore di rigetto ;
    • una volta formatosi il silenzio rigetto, il ricorso giurisdizionale si può proporre solo contro l’atto di primo di grado impugnato in via gerarchica;
    • dato che la decorrenza del termine ha valore equipollente ad una decisione di rigetto, la successiva decisione di accoglimento del ricorso risulta illegittima (violazione del principio ne bis in idem), mentre quella di rigetto risulta confermativa, ossia improduttiva di effetti giuridici nuovi;

Da questa impostazione, tuttavia, non risultava chiaro perché una decisione tardiva di accoglimento dovesse ritenersi illegittima, con la conseguenza che il ritardo nella decisione provocato da un fatto dell’amministrazione si risolveva in un danno per il cittadino;

  • nel 1989 l’Adunanza plenaria, tornando sull’argomento, sostenne che la formazione del silenzio rigetto non privava l’amministrazione del potere di decidere il ricorso gerarchico, ma consentiva al ricorrente di scegliere tra la possibilità di un ricorso giurisdizionale o straordinario e la possibilità di attendere la decisione del ricorso gerarchico.

Sulla base di quest’interpretazione il silenzio rifiuto finirebbe col rappresentare sempre di meno uno strumento di raccordo tra ricorso amministrativo e ricorso giurisdizionale e sempre di più uno strumento produttivo di utilità proprie, idonee soprattutto a garantire una tutela estesa al merito.

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