Sebbene il rapporto tra sistema di giustizia costituzionale e potere legislativo sia stato molto toccato dalla dottrina costituzionalistica, risulta difficile ricavarne un quadro unitario. Secondo il modello costituzionale originario Corte costituzionale e Parlamento avrebbero dovuto integrarsi a vicenda, ma fino ad ora essi hanno intrapreso percorsi paralleli, tali da non poter definire il nostro come uno Stato costituzionale compiuto, intendendo per Stato costituzionale quello fondato sull’equilibrio tra la libera espressione della sovranità parlamentare e la conservazione dei valori costituzionali.

Per comprendere il motivo di tale difficoltà occorre rifarsi ad alcune vicende giurisprudenziali inerenti al contrasto esistente tra il controllo della Corte sulla legittimità formale della legge e il principio dell’insindacabilità degli interna corporis del Parlamento:

  • la sent. n. 9 del 1959 (<<storica ma insoddisfacente>> secondo Barile) stabilì che l’illegittimità formale della legge può essere sindacata dal giudice costituzionale solo quando essa discenda dalla violazione di norme costituzionali o regolamentari costituzionalmente vincolate. Tale illegittimità, al contrario, non può essere sindacata quando il vizio formale discende dalla violazione di norme di regolamenti parlamentari a contenuto libero, la cui interpretazione e applicazione deve essere in ogni caso riservata alle Camere, nell’esercizio di una potestà sovrana sottratta a qualsiasi sindacato;
  • il principio appena esposto fu poi rafforzato mediante l’estensione dell’insindacabilità anche ai regolamenti parlamentari, in quanto atti normativi speciali non provvisti della forza propria della legge e non rientranti nel controllo di costituzionalità ex art. 134 (sent. n. 78 del 1984 e sent. n. 154 del 1985);

non può certo essere considerata una svolta la sent. n. 1150 del 1988, la quale, in sede di conflitto di attribuzione sollevato da un organo giurisdizionale, ha ritenuto di poter censurare per vizio del procedimento una decisione del Senato in materia di prerogative parlamentari: sebbene alcuni vedano in tale cambiamento la rottura del dogma degli interna corporis (si attribuirebbe alla Corte un potere di valutazione dell’eccesso di potere parlamentare), infatti, occorre notare come la Corte in quel caso sia intervenuta non in sede di controllo sulla legittimità formale della legge, ma in sede di conflitto tra poteri, i quali avevano messo in discussione un diritto inviolabile come il diritto di difesa, la cui esistenza era affermata dall’organo giurisdizionale ma negata dall’organo parlamentare

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