La riforma ha profondamente innovato la disciplina del diritto di recesso, dettandone un complesso regolamento combattuto tra l’obiettivo di fare del diritto di exit un caposaldo a difesa degli interessi della minoranza e la preoccupazione di sacrificare l’impresa con il depauperamento del patrimonio sociale conseguente alla necessaria liquidazione della partecipazione.

L’art. 2437 moltiplica i casi di recesso, legando questa possibilità non solo ad ipotesi nascenti da deliberazioni comportanti modificazione statutarie, deliberate dall’assemblea, ma anche ad ipotesi nascenti da situazioni diverse. Di fronte alla possibilità di addurre come motivo di recesso non solo determinate deliberazioni, ma anche determinati fatti o situazioni di fatto, l’obiettivo della tutela dei soci di minoranza si appanna: in teoria, infatti, tutti i soci potrebbero approfittarne, senza distinzioni tra maggioranza e minoranza.

Il recesso può essere esercitato anche per solo una parte delle azioni possedute (recesso parziale), favorendo il riassetto dei propri investimenti da parte dell’azionista investitore. Con riferimento alle deliberazioni che danno diritto al recesso, questo è consentito a tutti i soci che non hanno concorso alla deliberazione (assenti, contrari e astenuti). La norma, in particolare, distingue le deliberazioni in due categorie:

  • quelle che comportano inderogabilmente il diritto di recesso (co. 6).
  • quelle per le quali il diritto di recesso, pur essendo previsto dalla norma, può essere statutariamente escluso.

Relativamente alle cause di recesso, la norma fa riferimento a tre categorie:

  • le cause necessarie (co. 1):
    • la modifica della clausola relativa all’oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società.
    • la trasformazione della società.
    • il trasferimento della sede sociale all’estero.
    • la revoca dello stato di liquidazione.
    • l’eliminazione di uno o più cause di recesso di cui alla seconda categoria (cause facoltative) o che siano state precedentemente inserite nello statuto in forza dell’autonomia concessa dal co. 4.
    • la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso.
    • le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
    • le cause facoltative (co. 2):
      • la proroga del termine.
      • l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari.

Tali cause sono escludibili attraverso una esplicita indicazione statutaria, quindi, qualora lo statuto taccia sono equiparate a quelle della prima categoria.

  • le cause statutarie: il co. 4, infatti, consente, limitatamente alle società aperte, la possibilità che lo statuto preveda cause di recesso ulteriori e diverse.

A queste ipotesi ne vanno poi aggiunte altre cinque, nascenti da disposizioni diverse:

  • se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato, il socio può sempre recedere con un preavviso di almeno 180 giorni (co. 3). Tale diritto, tuttavia, può essere sospeso nel primo anno di vita della società.
  • se in sede di controllo il valore conferimenti di crediti o in natura risulta essere inferiore di oltre 1/5 a quello per cui il conferimento fu fatto, il socio può recedere.
  • in caso di direzione e coordinamento della società il socio può recedere.
  • se nelle società con azioni quotate una qualche deliberazione comporta l’esclusione dalla quotazione, il socio può recedere.
  • se nello statuto delle società chiuse viene introdotta o soppressa una clausola compromissoria, il socio può recedere.

Esercizio del diritto di recesso

L’esercizio del diritto di recesso comporta la necessità di una dichiarazione di recesso, che deve essere comunicata con raccomandata (o con altre forme) indirizzata alla società (art. 2437 bis). Tale dichiarazione deve contenere le generalità del socio recedente, l’indicazione del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, il numero e la categoria delle azioni per le quali il diritto è esercitato.

La raccomandata deve essere spedita entro il termine di quindici giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che legittima il recesso. Qualora il fatto che legittima il recesso sia diverso da una deliberazione (es. art. 2497 quater), il termine è di trenta giorni decorrenti dalla conoscenza del fatto in questione da parte del socio (co. 1). Le azioni per le quali è esercitato il recesso non possono essere cedute e debbono essere depositate presso la sede sociale (co. 2).

La società può paralizzare l’esercizio del diritto di recesso rendendolo impossibile o inefficace mediante due modalità (co. 3):

  • revocando la deliberazione che lo legittima entro novanta giorni decorrenti, secondo la dottrina maggioritaria, dallo spirare del termine dell’esercizio del recesso.
  • deliberando il proprio scioglimento, relativamente al quale ci si chiede se valga lo stesso termine di novanta giorni.
Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento