L’ interpretazione del contratto è regolata da “norme giuridiche” la cui violazione da parte del giudice di merito comporta la censurabilità della sentenza da parte della cassazione. Occorre però sottolineare come ciò che la corte di cassazione può censurare non è tanto l’interpretazione completamente operata dal giudice di merito-e ciò in quanto si tratta di un giudizio di fatto proprio della fase di merito e come tale non censurabile in sede di legittimità -ma, bensì, la violazione delle disposizioni codicistiche in materia di interpretazione.

I destinatari di tali norme non sono soltanto i giudici ma tutti coloro che hanno l’obbligo di interpretare il contratto. Anzitutto è la parte adempiente che all’obbligo di interpretare correttamente il contratto in quanto l’interpretazione rientra nello sforzo diligente richiesto al debitore ai fini dell’esatto adempimento.

Le norme ermeneutiche sono derogabili dalle parti ad eccezione di quella sulla interpretazione secondo buona fede, dovendo reputare quest’ultima un principio di ordine pubblico.

In ordine alla forza che assumono i criteri legali di interpretazione all’interno del nostro ordinamento giuridico, dottrina e giurisprudenza sono divise, salvo concordare su due punti:

a) la centralità e quindi l’assoluta inderogabilità, in quanto espressione di un principio di ordine pubblico, del principio di interpretazione secondo buona fede sancito dall’art. 1366 cod. civ.

b) la posteriorità delle regole di interpretazione oggettiva rispetto a quelle di interpretazione soggettiva, nel senso che le prima trovano applicazione solo qualora le seconde si rivelino insufficienti.

A parte questi due punti di contatto, parte della dottrina e della giurisprudenza, propendono per ammettere la derogabilità mentre altra parte (maggioritaria) propende per la loro inderogabilità.

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