Nelle comunità cristiane, divenute numerose sin dal secolo I, i compiti e i ruoli dei ministri di culto assunsero via via una identità pacifica.

Il vescovo venne considerato come il titolare del ministero ecclesiastico nella chiesa locale. Accanto a lui, in gerarchia discendente, i presbiteri, i diaconi, presto anche gli ordini minori.

Città → Sede della residenza dei vescovi;

Centri minori e Campagne ði fedeli venivano assistiti da curatori d’anime.

Il rapporto di unione del vescovo con la diocesi fu presto considerato come molto stretto tanto che si stabilì di limitarne i viaggi e impedirne il passaggio ad altra sede(«matrimonio mistico»).

I poteri del vescovo aumentarono e si fecero anche civili e pubblici a svantaggio dell’organizzazione civile già fortemente in crisi.

Il vescovo era di norma scelto dal clero della chiesa locale con la partecipazione del popolo. Quest’ultimo per lo più si limitava alla conferma, ma talora sceglieva direttamente i suoi pastori.

Intanto si era affermata nella chiesa la consuetudine di convocare, per la decisione di questioni dottrinali e disciplinari in sospeso, riunioni dei vescovi di una o più province ecclesiastiche. si svolsero così numerosi concili.

Le decisioni conciliari, una volta raggiunte, costituirono dei punti fermi per la Chiesa, dal momento che, come già gli apostoli a Gerusalemme, si ritenne che i vescovi fossero assistiti dallo Spirito Santo.

Questo complesso insieme di regole, che iniziò a formarsi ben prima dei riconoscimento statale dei secolo IV può e deve qualificarsi sin dalle origini come diritto della Chiesa:

un diritto costituito da norme scritte + consuetudini, di organi ed anche di specifiche sanzioni, le quali non erano meno efficaci per il fatto di avere natura spirituale.

L’esclusione dalla comunità, la scomunica rappresentava la massima delle sanzioni per chi riponeva proprio nella comunione con la Chiesa la speranza della salvezza. Il fedele recuperava, attraverso la penitenza irrogatagli nelle forme canoniche, la possibilità di restaurare i rapporti con la comunità ecclesiale e con Dio, compromessi dalla propria condotta peccaminosa.

Frattanto l’ordinamento della Chiesa aveva assunto una struttura gerarchica.

Eguali erano il ruolo e la dignità di ogni vescovo all’interno della diocesi e nelle deliberazioni conciliari, ma diverso il grado, corrispondente all’importanza della sede e all’antichità della chiesa locale. In questa prospettiva, il vescovo di Roma venne assumendo nel tempo un ruolo particolare.

Innocenzo I (402-417), facendo ricorso con maestria allo strumento delle decretali, affermò la preminenza della consuetudine romana in materia liturgica, rivendicò il ruolo del vescovo Roma nelle cause maggiori e in appello, intervenne in questioni della chiesa africana e della stessa chiesa d’oriente.

Con Leone Magno (440-461)

la concezione del primato raggiunse un nuovo apice. L’enunciazione del compito universale spettante al vescovo di Roma nasceva in lui dalla persuasione profonda che il ruolo affidato da Cristo stesso a Pietro, distinto rispetto a quello degli altri apostoli, si trasmettesse a ciascuno dei successori di Pietro.

In Oriente in quegli anni il concilio di Caledonia

attribuì alla cattedra di Costantinopoli gli stessi privilegi di quella di Roma, e l’opposizione del papa a tale enunciato non riuscì ad evitarne l’approvazione da parte dei padri, in prevalenza orientali.

La chiesa si rifà al diritto e alle istituzioni romane anche se alcuni tratti caratteristici erano diversi.

Il cristianesimo è la religione di un libro, o meglio di un insieme di libri nei quali è contenuta la Rivelazione.

Questa fondamentale rilevanza del testo scritto deriva dalla tradizione ebraica antica, che da molti secoli riconduceva la ricerca della verità e l’individuazione delle regole di condotta (anche le regole giuridiche) al Libro della Legge.

Uno degli aspetti più significativi della grande fioritura culturale dei Padri della Chiesa dei secoli III e IV, sia in oriente che in occidente, consiste nel fatto che essi cercarono di sistemare le divergenze tra il Vecchio e il Nuovo testamento, al fine di trarne indicazioni concrete e precise di con- dotta, che fossero conformi ai precetti divini.

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