I patti successori, ovvero i patti con cui due soggetti si accordano per disporre delle loro sostanze dopo la morte, possono essere:

  • istitutivi, se concernono l’istituzione di erede. Tale patto, unico ad essere mortis causa, concerne la propria eredità.
  • dispositivi, se riguardano i diritti successori prima che sia aperta la successione
  • rinunciativi, se determinano la rinuncia a diritti successori prima che sia aperta la successione).

Questo patto, così come quello dispositivo e al contrario di quello istitutivo, è un atto inter vivos, che ha ad oggetto l’eredità altrui.

Tali patti, limitando la libertà di testare, sono vietati (art. 458). Relativamente a tale divieto, tuttavia, si discute ormai da decenni. La ragione sostanziale di questa disciplina è da ricercare nel fatto che il testamento è un atto intrinsecamente revocabile (art. 587): ammettere che la delazione avvenga per contratto, ovvero per un atto bilaterale da cui scaturiscono effetti obbligatori vincolanti, sarebbe quindi in contraddizione con tale caratteristica.

Il problema di questi patti successori, tuttavia, si presenta in termini più complessi. Per capire quali conseguenze produca il divieto, dobbiamo distinguere tra patti successori con effetti reali e patti successori con effetti obbligatori: un contratto successorio con il quale Tizio instituisce erede Caio, infatti, è ben altra cosa rispetto all’obbligazione di istituirlo nel testamento. Se A, conscio della nullità dell’obbligazione assunta con B, istituisce ugualmente B come suo erede ma esplica una lontananza dall’animus di ottemperare all’obbligazione, allora il testamento sarà valido. Al contrario, se il testamento apparirà come l’esecuzione dell’obbligazione assunta, allora sarà nullo.

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