I dati elaborati da un calcolatore e fatti viaggiare nel web sono tutt’altro che “immateriali”: il mattone su cui tutto si fonda è il bit che, nella sua elementarità, esprime tutto ciò che è necessario a un processore e cioè una logica binaria con cui rappresentare la presenza o l’assenza di una carica elettrica.

Ciò che chiamiamo “rete” è uno straordinaria agglomerato di elementi fisici su cui scorrono bit: anche quando vengono utilizzate comunicazioni wireless, queste sono trasmesse e ricevute da elementi fisici. Allo stesso modo, il termine cloud altro non indica che un disco remoto su cui sono salvati i nostri dati e le applicazioni che usiamo: ogni cloud si riferisce ad un server e ogni server ha un indirizzo ben preciso.

Tutti questi sono elementi spazialmente delfini e, in quanto tali sono collocati sul territorio di uno Stato.

L’origine di Internet è collocabile storicamente intorno agli anni cinquanta del Novecento, quando la Guerra Fredda tra Stati Uniti ed Unione Sovietica sollecitò non soltanto l’ideazione di strumenti d’offesa, ma anche lo sviluppo di nuovi sistemi difensivi: è in questo contesto che gli Stati Uniti cercano di rendere più sicura la rete telematica del proprio Dipartimento di Difesa. La rete prevedeva l’uso di unità periferiche collegate ad un unico centro di elaborazione: un attacco contro l’unità centrale avrebbe quindi comportato il blocco di tutte le diramazioni del sistema.

Alla vulnerabilità di questa struttura si cercò di sopperire con l’istituzione nel 1958 di un organismo deputato allo sviluppo di nuove tecnologie per scopi militari: la Advanced Research Projects Agency che ideò una struttura telematica priva di un’unità centrale e sviluppata, invece, in nodi interconnessi dotati individualmente di una propria unità di calcolo e memoria.

Questa “rete distribuita” consentiva di minimizzare i danni di un attacco al sistema, in quanto le sue conseguenze venivano circoscritte al singolo nodo colpito: venne così realizzata nel 1968 una rete di nuovo tipo denominata Arpanet.

Inizialmente, Arpanet metteva in collegamento quattro sedi universitarie: per consentire un allargamento della struttura originaria ed altre reti che nel frattempo erano state formate, intorno alle metà degli anni settanta, venne adottato un particolare protocollo di trasmissione capace di consentire lo scambio di dati tra reti diverse attraverso l’attribuzione a ciascuna macchina di un indirizzo (l’indirizzo IP, appunto).

Per migliorare la gestione delle comunicazioni, venne introdotto il sistema dei “nomi a dominio”. Si tratta di uno standard che consente di associare ad ogni indirizzo IP una denominazione in linguaggio naturale: il sistema che converte automaticamente questa stringa di caratteri in un indirizzo IP prende il nome di Domain Name System (DNS).

Qualora il registro DNS non sia aggiornato o sia corrotto, la richiesta di una determinata risorsa non potrà essere risolta e quindi un determinato sito non potrà essere aperto: per questo motivo la gestione del DNS ha natura non esclusivamente tecnica, ma politica.

Allo stesso modo, politicamente rilevante è il sistema multilivello che distingue tra Top Level Domains, domini di secondo livello o terzo livello.

Com’è facile intuire, questo sistema non può funzionare senza una qualche forma di coordinamento: il problema è dunque chi gestisce il DNS?

In una prima fase questo compito è stato svolto dalla stessa ARPA, attraverso l’Internet Assignation Numbers Authority.

Successivamente si è avvertita l’esigenza di sganciare l’ente che gestiva il DNS da un’organizzazione direttamente ricollegabile a uno Stato: nacque così nel 1998, l’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers. Questa soluzione ha sollevato sin dal primo momento la perplessità di diversi attori, convinti che sarebbe stato preferibile optare per l’istituzione di una agenzia specializzata delle Nazioni Unite: pur non essendo un’emanazione diretta del governo statunitense, infatti, l’ICANN è assoggettata al diritto californiano, legata da un contratto di consulenza al Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti d’America.

Il governo statunitense ha sempre sostenuto che questo regime fosse idoneo a garantire un’adeguata apertura della gestione del DNS a livello internazionale: in questa stessa direzione sono andati gli interpreti che hanno visto nell’ICANN una delle più limpide espressioni del Global Administration Law, in cui un ente privato svolge una funzione pubblica di rilevanza globale.

Peraltro, sembra innegabile che l’influenza governativa sull’ente sia ancora notevolissima. A confermare questa considerazione può essere utile ricordare la composizione del Board of Directors dell’ente: nonostante una fase sperimentale in cui quest’organismo era comporto da membri in larga parte scelti dalla comunità degli utenti di Internet, il peso di quest’ultima è stato decisamente ridimensionato a favore di attori non istituzionali ma estremamente rilevanti sul piano economico per l’economia statunitense. A questo si aggiunga la dipendenza economia dal Dipartimento del Commercio e la competenza giurisdizionale californiana sull’ente.

Nel contesto della conferenza mondiale dell’International Telecommunication Union

che si è tenuto a Dubai nel 2012, sono risultati due schieramenti opposti:

  1. Da una parte i paesi che hanno rimarcato l’esigenza di attribuire le competenze di gestione del DNS a un organismo realmente internazionale come l’ITU.
  2. Dall’altra gli Stati Uniti che hanno sostenuto come l’ICANN sia già un ente universale capace di svolgere un ruolo di garanzia rispetto alle tendenze di alcuni Paesi di voler comprimete lo spazio di libertà assicurato attualmente dalla rete
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