Si è detto che il significato storico dell’opera è legato all’analisi strutturale del diritto come ordinamento normativo specifico la cui specificità è nel modo in cui le norme sono unite l’un con l’altra. L’analisi strutturale ha senza dubbio relegato in secondo piano quella strutturale e ciò deriva dal fatto che Kelsen ha una concezione strumentale del diritto che va d’accordo con l’irrazionalismo dei valori. Il diritto come mezzo potrà per Kelsen esser usato per i fini più diversi e per questo un’analisi che parte dai fini (giusnaturalismo) per lui non potrà mai portare a cogliere l’essenza del diritto. Kelsen parla poi del diritto come della forma di controllo sociale che si avvale dell’uso della forza che può permettere di raggiungere fini sociali altrimenti non raggiungibili con altre forme di controllo sociale. e nel General theory egli comunque afferma che il fine del diritto è la pace sociale. Questa importante affermazione è corretta nella seconda edizione del Reine Rechtslehere quando descrive il fine come sicurezza collettiva che non è la pace ma mira alla pace: quest’ultima considerazione viene fatta analizzando gli ordinamenti giuridici primitivi (tra cui quello internazionale) e vedendo che essi non portano seriamente a una pacificazione. Da ciò si deduce che il diritto non ha un fine ultimo bensì un fine intermedio strumentale per altri fini (ripresa del positivismo giuridico). Proprio perchè il positivismo aveva detto tutto sull’aspetto funzionale egli si concentra sulla struttura, sebbene poi la funzione cambierà radicalmente dal secolo successivo, divenendo promozionale, diventando quindi forma di direzione sociale. Cambierà la funzione, ma la struttura kelseniana non è minimamente intaccata dai processi del novecento.

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