In conclusione l’autore precisa che non vuole negare con questo scritto la fecondità di tutti i valori richiamati dai pensatori bioetici, sono valori fecondi a condizione che di non pretendere di argomentare ponendoli come fossero presupposti indubitabili e inequivocabili.

L’autore non vuole negare l’importanza in campo bioetico delle nuove acquisizioni delle conoscenze scientifiche ma rifiuta una scienza che non riconosca limiti!

Con riguardo al criterio del volere della maggioranza, cioè del consenso dei più che garantirebbe una soluzione pacifica, l’autore sottolinea che esso vale solo come un opinione notevole da cui muoversi ma non come verità!

Sottolinea poi che il tollerare se è utile perché è antidoto all’arroganza, non pùò essere però usato di fronte alle grandi sfide bioetiche. Qui occorrono delle prese di posizione forte.

Ancora l’autore sottolinea che in campo bioetico occorre individuare una lingua comune, procedure che garantiscano il rispetto reciproco e favoriscano il confronto. Ma l’individuazione di una lingua comune è possibile solo se esiste una reale volontà delle parti in gioco di ricercare il comune e riconoscere le differenze.

Ancora sottolinea che è vero che dobbiamo rispettare l’autonomia riconoscendola come valore ma a condizione che non venga intesa come insindacabilità ed irresponsabilità ma come impegno del soggetto ad individuare delel regole che indirizzano il suo agire e che siano argomentabili e giustificabili in senso forte.

Ancora l’autore sottolinea come è necessario il riferimento ai diritti dell’uomo. Le critiche mosse nelel pagine precedenti non volevano engare ciò ma solo evidenziare che essi non possono essere il punto di partenza per individuare un decalogo bioetico puntuale. Ma sicuramente tali principi vanno richiamati nel discorso bioetico, anche perché da essi derivano due massime fondamentali:

– la non accettabile ingiustificata lesione dell’innocente

– e il divieto di quanto sminuisca la soggettività del dialogo, la potenzialità della comunicazione

Si tratta di due massime che insieme fondano il principio fondamentale in campo bioetico: neminem laedere !

Principio incontrovertibile ma che non ci aiuta a risolvere i vari interrogativi posti dalla bioetica…biosgna capire chi sia l’innocente, che vuol dire ledere, in che senso una lesione è ingiustificata ecc…

Insomma non è esso una panacea per tutti i problemi bioetici.

Ritorniamo così al problema iniziale: come fondare la scelta e in che modo scegliere alle luce dei valori che abbiamo riconosciuto?

L’autore in conclusione afferma che il rinascimento di alcuni principi può giungere si da faro ma non da rimorchiatore nella navigazione: non ci porto subito al sicuro nel porto ma sicuramente ci può aiutare a trovare la strada. E quindi ben venga l’utilizzo dei luoghi comuni degli endoxa purchè se ne riconosca il loro limite.

Infine l’autore richiama un concetto importante: spesso quando si parla di bioetica si parla di laicità in due eccezioni diverse:

– in senso forte

– in senso debole

Il concetto debole di laicità esprime la pretesa che l’argomentazione in bioetica si fondi sulla razionalità, prescindendo dai richiami a considerazioni di fede e dogmatiche.

Mentre con laicità in senso forte si intende l’esclusione di premesse metafisiche o religiose che pretendono di valere per tutti. Ma in realtà la ragione non può prescindere dalla metafisica…e allora, dice l’autore, se di laicità si vuole parlare meglio farlo in senso debole.

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