L’art. 269 (già 189) del Trattato CE dispone: “Per l’assolvimento dei loro compiti e alle condizioni contemplate dal presente trattato, il Parlamento europeo congiuntamente con il Consiglio, il Consiglio e la Commissione adottano regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni o pareri. Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”.

L’atto che viene menzionato per primo nell’art. 249 del Trattato CE è il regolamento, del quale si dice che “ha portata generale” ed “è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”.

La definizione pone in evidenza tre caratteristiche del regolamento: a) la portata generale; b) il carattere obbligatorio; c) l’applicabilità diretta, che ne fanno la fonte primaria del diritto comunitario.

a) Il regolamento ha portata generale (anche se può disporre limitazioni di ordine territoriale). Ciò implica, da una parte, che esso ha efficacia per un numero indeterminato e indeterminabile di destinatari – gli Stati membri e le persone fisiche e giuridiche degli Stati membri – dall’altra che ha il requisito dell’astrattezza, nel senso che prescinde dal caso concreto e può applicarsi a qualsiasi fattispecie che possa rientrare nella sua previsione (la precisazione che è obbligatorio «in tutti i suoi elementi» intende distinguere il regolamento dalle direttive che sono obbligatorie unicamente in relazione alla loro finalità). La Corte ha affermato, a partire dalle sue prime sentenze, che «il regolamento, che ha natura essenzialmente normativa, è applicabile non già ad un numero limitato di destinatari… bensì a delle situazioni oggettive determinate… [a delle] categorie di destinatari determinati astrattamente e nel loro complesso» (sent. 14-XII-1962, cause 16 e 17/62, in Raccolta, p. 877).

b)Il regolamento ha carattere obbligatorio in tutti i suoi elementi. Ciò non implica peraltro che debba essere completo: ogni regolamento può essere completato con misure di esecuzione da adottarsi sia dall’autorità competente ad emanarlo sia da un’altra autorità che può essere tanto comunitaria quanto nazionale. Tuttavia, quando devono essere completati mediante misure di applicazione, i regolamenti di base devono contenere «gli elementi essenziali della materia da regolare» (CGCE 17-XII-1970, causa 30/70, in Raccolta, p. 1197).

c) Il regolamento è direttamente applicabile in ogni Stato membro.

L’applicabilità diretta del regolamento significa che senza che sia necessario un intervento del potere normativo nazionale esso ha validità automatica negli Stati della Comunità e in quanto tale è atto a conferire diritti e imporre obblighi agli Stati membri, ai loro organi e ai privati, alla stessa stregua della legge nazionale. «L’applicabilità diretta – ha dichiarato la Corte nella celebre sentenza Simmenthal va intesa nel senso che le norme di diritto comunitario devono esplicare la pienezza dei loro effetti, in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validità».

La Corte ha condannato la riproduzione delle disposizioni dei regolamenti con atti legislativi nazionali dichiarando che «sono… in contrasto con il trattato le modalità di attuazione che possano avere la conseguenza di ostacolare l’efficacia diretta dei regolamenti comunitari e di comprometterne quindi la simultanea ed uniforme applicazione nell’intera Comunità» (sent. 7-II-1973, causa 39/72 in Raccolta, p. 101). Questa pratica – ha osservato la Corte (31-I-1978, causa 94/77, Zerbone, in Raccolta, p. 99) – favorisce la pretesa, da parte delle autorità degli Stati membri, di fornire esse stesse un’interpretazione obbligatoria delle norme comunitarie vanificando la procedura del rinvio pregiudiziale dell’art. 177.

Si deve peraltro precisare che l’applicabilità diretta del regolamento è una mera qualità formale inerente – in maniera astratta – all’atto normativo. Essa non comporta necessariamente l’applicabilità sostanziale (spesso, come abbiamo testè osservato, i regolamenti devono essere integrati), e neppure, a maggior ragione, l’effetto diretto, cioè la possibilità per i singoli – riconosciuta nel processo di elaborazione del diritto comunitario a norme di altro genere come quelle dei trattati istitutivi e delle direttive – d’invocare la norma comunitaria dinanzi ad un organo giudiziario nazionale .

I regolamenti accordano generalmente al singolo delle pretese azionabili soltanto nei confronti degli organismi di emanazione statale incaricati di attuare la regolamentazione comunitaria. In alcuni casi, tuttavia, sono fonti di situazioni soggettive da far valere nei confronti di un altro soggetto privato: tale è, per esempio, il regolamento CEE 295/91 del Consiglio del 4-II-1991 che stabilisce norme comuni relative ad un sistema di compensazione per negato imbarco su trasporti aerei di linea, laddove prevede il diritto del passeggero, in caso di negato imbarco, di esigere dal vettore aereo il rimborso senza penali del prezzo del biglietto, un volo alternativo, la corresponsione immediata di un indennizzo minimo immediatamente dopo negato l’imbarco (art. 4).

d) Nella CE, i regolamenti vengono emanati dal Consiglio, generalmente su proposta della Commissione (con il Parlamento europeo associato in una forma di consultazione oppure nel quadro della procedura di cooperazione o di quella di «codecisione») oppure dalla Commissione, quasi sempre, ormai, dietro delega del Consiglio (che quindi è il vero legislatore della Comunità).

e) L’efficacia dei regolamenti nel diritto interno italiano si fonda sull’art. 249 del Trattato e sull’obbligo assunto dagli Stati contraenti di attribuire al regolamento gli effetti previsti.

In ciò non vi è nulla di nuovo rispetto a quanto avviene per altre organizzazioni internazionali cui il trattato istitutivo accorda il potere di adottare atti vincolanti per tutti i membri (si pensi alla ripartizione delle spese stabilita mediante un atto all’Assemblea generale dell’ONU). La differenza sta piuttosto, come vedremo, nell’ampiezza del potere normativo della CE.

Nella sentenza 8 giugno 1984, n. 170 la Corte costituzionale italiana (Granital) ha affermato che «le norme poste dal regolamento comunitario sono immediatamente applicate nel territorio italiano per forza propria» e che «esse non devono, né possono essere riprodotte o trasformate in corrispondenti disposizioni dell’ordinamento nazionale».

f) Come per gli altri atti del Consiglio e della Commissione che non sono raccomandazioni e pareri, anche per i regolamenti è previsto un controllo di legittimità . Si noti che il potere di promuovere il giudizio di legittimità è riconosciuto anche a «qualsiasi persona fisica e giuridica» «contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente» (sul locus standi delle persone fisiche o giuridiche.

A questa via di ricorso diretta, aperta al singolo, soggetta ad una rilevante limitazione temporale, dal momento che il ricorso deve essere proposto nel termine di due mesi (secondo i casi: dalla pubblicazione dell’atto, dalla notificazione di esso al ricorrente, ovvero dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza) se ne aggiunge un’altra indiretta nel quadro del ricorso pregiudiziale dell’art. 234, Trattato CE, promosso da una giurisdizione di uno degli Stati membri.

Il ricorso diretto per legittimità è completato da una norma (art. 231, già 174, Trattato CE, art. 147 Trattato Euratom) che prevede il potere della Corte di giustizia di dichiarare «nullo e non avvenuto l’atto impugnato» (l’annullamento è considerato produttivo di effetti ex tunc), e da un’altra disposizione (art. 233 CE; art. 149 Euratom) che impone all’istituzione da cui emana l’atto annullato di «prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta».

Con riferimento espresso ai regolamenti, l’art. 231, 2o comma, CE (= art. 147, 2o comma, Euratom) prevede che la Corte di giustizia «ove lo reputi necessario, precisa gli effetti del regolamento annullato che devono essere considerati come definitivi». Nulla di simile è detto invece nell’art. 234 e nella disciplina della procedura che esso istituisce.

Nelle sentenze, non molto numerose, in cui, in base all’art. 234 CE, ha dichiarato l’invalidità di un regolamento, la Corte si è generalmente astenuta dal precisare gli effetti che discendevano da una tale dichiarazione, limitandosi a constatare l’invalidità dell’atto in questione e, in taluni casi, aggiungendo che spettava alle autorità nazionali trarre, conformemente al proprio diritto nazionale, le conseguenze di tale dichiarazione (sent. 30-X-1975, causa 23/75, Raccolta, p. 1279), in particolare per quanto riguarda la restituzione delle somme versate dagli operatori economici in applicazione del regolamento invalidato (12-VI-1980, causa 130/79, in Raccolta, p. 1887).

In alcuni casi, tuttavia, la Corte si è discostata da tale posizione: segnatamente nelle tre sentenze 15-X-1980 (causa 4/79, 109/79 e 145/79, in Raccolta, risp. a p. 2823, 2883, 2917) delle quali è particolarmente nota la terza (Roquette) dove essa, dopo aver constatato l’illegittimità del sistema di calcolo degli importi compensativi monetari (i.c.m.) applicabili a determinati prodotti, come definito da vari regolamenti della Commissione, ha ritenuto, in ragione della complessità degli elementi da prendere in considerazione per il calcolo degli i.c.m. per i prodotti in questione, di dover «valutare, nell’ambito del presente procedimento pregiudiziale, le conseguenze dell’invalidità del sistema di calcolo adottato dalla Commissione» ed ha applicato analogicamente l’art. 174, 2° comma.

In caso di annullamento di un regolamento ex art. 231 divengono caduchi tutti gli effetti diretti di esso (e può essere fatta valere la responsabilità extracontrattuale della Comunità) le autorità degli Stati possono chiedere la restituzione di somme indebitamente pagate ai singoli ed i singoli la restituzione degli oneri indebitamente pagati, a condizione che non vi sia stata prescrizione (sentenza 12-VI-1980, causa 130/79, Express Dairy Foods, in Raccolta, p. 1899). Questo diritto soggettivo deriva dal diritto comunitario, anche se l’esercizio di esso è subordinato alle regole procedurali e sostanziali dello Stato di cui si tratta.

 

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