Limitato inizialmente alla mozione di sfiducia sulla Commissione, il controllo politico del Parlamento su di essa si è notevolmente accresciuto con il TUE.

Il controllo si manifesta in primo luogo al momento della nomina. La scelta del Presidente e dei Commissari – per la quale le regole stanno cambiando – è sempre soggetta ad un’investitura del PE.

Il controllo politico si manifesta altresì con la mozione di censura approvata dal Parlamento «a maggioranza di due terzi dei voti espressi e a maggioranza dei membri che (lo) compongono» (art. 201, già 144, 2° comma) con scrutinio pubblico e dopo che essa sia rimasta depositata per almeno tre giorni.

La «sfiducia» di un singolo commissario non rientra tra i poteri del Parlamento, come risulta dall’art. 216 (già 160): «Qualsiasi membro della Commissione che non risponda più alle condizioni necessarie all’esercizio delle sue funzioni o che abbia commesso una colpa grave può essere dichiarato dimissionario dalla Corte di giustizia, su istanza del Consiglio o della Commissione». In occasione della crisi del gennaio 1999 si è tentato, ma senza successo, di far passare una mozione di censura relativa a singoli commissari.

In caso di approvazione della mozione di censura i membri della Commissione «devono abbandonare collettivamente le loro funzioni». Lo stesso art. 201 prevede tuttavia che continueranno a curare gli affari di ordinaria amministrazione sino a che non saranno sostituiti. La stessa prorogatio vale anche in caso di dimissioni volontarie del presidente o dei membri della Commissione: soltanto la decadenza pronunciata dalla Corte di giustizia (art. 216) ha effetto immediato.

La sostituzione comporta una nuova designazione del Presidente, l’approvazione del Parlamento europeo etc.: essa porta ad una nomina che dura soltanto per il periodo di mandato non goduto dal membro precedente.

Nella storia del Parlamento europeo non sono mancati casi di presentazione di mozioni di censura. Soltanto il 14 gennaio 1999, però, i voti per la censura hanno raggiunto la cospicua percentuale del 42 per cento dei membri del Parlamento. Pur non sfiduciata, la Commissione si è sentita «sotto tutela»; venne conseguentemente escogitata una risoluzione, approvata con una maggioranza di 162 voti, che chiedeva un’inchiesta indipendente «sui presunti casi di frode, cattiva gestione e nepotismo in seno alla Commissione». La commissione d’inchiesta così nominata – si noti che gli addebiti riguardavano prevalentemente due commissari su 20 – pubblicò il 15 marzo un rapporto a seguito del quale i membri della Commissione decisero all’unanimità di rassegnare le dimissioni.

Di rilevanza minore sono i poteri attribuiti al PE nei confronti del Consiglio e del Consiglio europeo. La norma generale dell’art. 197 (già 140) 4° comma, Trattato CE («Il Consiglio è udito dal Parlamento europeo, secondo le modalità che esso stesso definisce nel suo regolamento interno») è stata specificata nell’obbligo, per il Consiglio ed i suoi membri, di rispondere alle interrogazioni scritte ed orali del PE; inoltre, all’inizio del proprio mandato la Presidenza del Consiglio si rivolge al PE e presenta il programma per il semestre successivo. Il Consiglio europeo deve presentare al Parlamento una relazione dopo ciascuna delle sue riunioni ed informare, alla fine di ogni periodo semestrale, sui progressi raggiunti nel periodo (l’obbligo grava sulla Presidenza).

Vi sono poi le <tk;4>interrogazioni (orali o scritte)<tk;1> alla Commissione, già previste nella prima stesura del Trattato CE (art. 140, ora 197) ma aumentate in maniera spettacolare, e le <tk;4>commissioni temporanee d’inchiesta<tk;1> incaricate di esaminare le denunce d’infrazione della legislazione comunitaria o quelle relative ad inadempienze amministrative in settori rilevanti di competenza comunitaria (fatti salvi, tuttavia, i poteri conferiti ad altre istituzioni e, in particolare, senza interferire con l’esercizio della giurisdizione). Le commissioni possono essere formate su richiesta di un quarto dei membri effettivi del PE (art. 193).

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