La direttiva è il solo mezzo di azione delle istituzioni in materia di ravvicinamento delle legislazioni (art. 100, ora 94, Trattato CE) e di realizzazione della libertà di stabilimento, della libera prestazione di servizi e della libera circolazione di capitali mentre è menzionata unitamente al regolamento e, a volte, alla decisione, in altre disposizioni del Trattato (artt. 37, 83). Un grande ruolo le è stato attribuito dall’Atto unico europeo in vista della creazione del mercato interno.
L’attuazione delle direttive è controllata dalla Commissione. Gli Stati membri, ai quali esse sono obbligatoriamente notificate (art. 254, secondo comma), dispongono di un termine per applicarle. La Commissione, qualora accerti l’inadempimento può, sentite le ragioni dello Stato, ricorrere alla Corte di giustizia affinché questa lo dichiari con sentenza. Accanto al ricorso della Commissione, il Trattato prevede quello degli altri Stati membri, ma non invece quello dei cittadini nonostante la direttiva possa prevedere la creazione per essi di situazioni giuridiche favorevoli (e quindi esista un loro interesse ad ottenerne l’attuazione entro i termini fissati). Come diremo, si è fatto ricorso all’art. 234 (già 177) per ottenere lo stesso risultato.
Le direttive prevedono l’obbligo, per gli Stati membri, di comunicare alla Commissione le misure interne di esecuzione, sia allo stadio di progetto che dopo la loro adozione. Molto spesso sanciscono anche l’obbligo di comunicare ogni norma giuridica emanata nel campo di applicazione della direttiva. In tal modo, la Commissione può esercitare il suo potere di controllo ed agire, se del caso, per constatare l’inadempimento. D’altronde, spesso si verificano ritardi nell’attuazione della direttiva o casi di attuazione scorretta, e numerosi sono i casi d’infrazione portati davanti alla Corte di giustizia (soprattutto nel contenzioso relativo alla violazione del Trattato).
Si deve tener presente, poi, il numero enorme di direttive, effetto della vera e propria «esplosione quantitativa» verificatasi a partire dal 1970 (a quella data le direttive in vigore erano 28; ora sono diverse migliaia e poiché ciascuna presuppone provvedimenti nazionali di attuazione, la Commissione deve sorvegliare decine di migliaia di provvedimenti normativi nazionali).
In Italia le direttive sono state inizialmente eseguite mediante decreto presidenziale (d.P.R.) o decreto ministeriale (d.m.) adottati su delega del Parlamento; la lentezza della procedura legislativa ordinaria sconsigliava infatti di servirsi delle normali procedure legislative.
La situazione è mutata per effetto della cosiddetta «legge La Pergola» (Legge 9 marzo 1989, Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari) con la quale lo Stato italiano ha inteso garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza alla Comunità conseguenti (la legge è stata successivamente modificata per tener conto dell’accresciuto ruolo delle Regioni):
a) all’emanazione di regolamenti, direttive, decisioni etc.;
b) all’accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia, dell’incompatibilità di norme legislative e regolamentari italiane con il diritto comunitario.
Il punto centrale è rappresentato dall’adozione, anno per anno, della legge comunitaria con disposizioni per l’adempimento degli obblighi comunitari. L’iniziativa di detta legge deve essere esercitata dal governo a scadenza prefissata (ora è il 31 gennaio). Oltre al disegno di legge comunitaria, il governo presenta alla Camere, in allegato ad esso, un elenco delle direttive per l’attuazione delle quali chiede di essere autorizzato ad emanare norme. Esso ha altresì il compito di presentare alle Camere una relazione semestrale circa la partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario.
La legge comunitaria consente di dare attuazione nel nostro ordinamento alle disposizioni comunitarie attraverso:
– la normazione diretta, abrogando o modificando norme interne in contrasto con quelle comunitarie direttamente attraverso la legge comunitaria (il metodo è praticato per le disposizioni comunitarie di minor complessità);
– la delega al governo. In questo caso, dopo di avere ricevuto le necessarie autorizzazioni, il governo emana disposizioni di attuazione delle direttive comunitarie mediante decreto, regolamento, o altro atto amministrativo a seconda della materia oggetto della norma comunitaria.
Le direttive contenute nelle leggi comunitarie sono ripartite in diversi allegati in base al tipo di provvedimento utilizzato per la loro adozione.
Vi è poi da tener conto della giurisprudenza che ha ormai fatto proprio il principio della diretta applicabilità delle direttive. Tra le molte affermazioni in questo senso ricordiamo le pronunce appena ricordate in materia di tassa d’iscrizione delle società .
L’applicabilità diretta è stata autorevolmente riconosciuta dalla Corte costituzionale (8-IV-1991, n. 168), proprio con riferimento alla direttiva da ultimo ricordata, con le seguenti condizioni: la prescrizione della direttiva comunitaria deve essere incondizionata e sufficientemente precisa («nel senso che la fattispecie astratta ivi prevista ed il contenuto del precetto ad essa applicabile devono essere determinati con compiutezza in tutti i loro elementi»); inoltre deve essere scaduto il termine per darvi attuazione.