L’attuale sistema delle sanzioni tributarie è il risultato d’un’evoluzione storica, che si può cogliere bene se si esamina distintamente il settore delle imposte dirette (settore dove l’accertamento/riscossione affidate ad Amministrazione finanziaria, quindi fino al 1956 la tutela della fattispecie tributaria consisteva in contravvenzioni punite con ammenda. Tuttavia con la l.1/1956 fu introdotta una pena detentiva per sanzionare l’omessa denuncia dei redditi oltre una certa soglie nonché il delitto di frode fiscale punito con reclusione fino a 6 mesi) e quello delle imposte indirette (per questo settore è stato elevato fin dall’Unità d’Italia a regola la tutela penale della fattispecie tributaria, in connessione alla problematica individuazione della fattispecie impositiva e in certi casi dei soggetti passivi).

Comunque, la disciplina sanzonatoria ebbe una disciplina generale con la l.4/1929 Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie” con cui fu organicamente disciplinata la materia delle sanzioni tributarie relative a tributi erariali: la legge si limitava a prevedere la disciplina generale applicabile agli illeciti tributari, lasciando poi a singole disposizioni specifiche la regolamentazione di dettaglio delle relative sanzioni. Questa legge creò la “summa divisio” tra sanzioni penali (derivate da illecito penale) e amministrative (queste nei casi in cui la sanzione consisteva in un’obbligazione civile di provvedere al pagamento di somma di denaro che si esprimeva nelle figure tipiche della l.4: pena pecuniaria e sopratassa). L’art 1 2° conteneva il “principio di fissità” (le disposizioni della stessa legge non potevano essere abrogate/modificate da leggi posteriori concernenti i singoli tributi, se non per dichiarazione espressa del legislatore o con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate/modificate) ; l’art 20 derogava al 2 del Codice Penale introducendo il “principio di ultrattività della norma penale finanziaria” (con cui si affermava l’applicazione della norma sanzionatoria vigente al momento della commessa violazione, anche quando questa fosse ormai abrogata ovvero modificata da altra più favorevole al trasgressore).

Critiche alla l.4/1929. Le sanzioni amministrative (pena pecuniaria e sovrattassa) avevano una natura giuridica eterogenea: la pena pecuniaria era posta in regime di alter natività rispetto alle sanzioni penali e in quanto commisurata alla personalità del trasgressore, denotava una connotazione di tipo afflittivo tipica delle sanzioni penali; la sopratassa si poteva invero cumulare con sanzioni penali e pena pecuniaria, ciò determinava una natura tendenzialmente risarcitoria, caratteristica delle sanzioni civili.

La l.4 contemplava poi, sotto il profilo del rapporto tra accertamento della violazione e irrogazione della sanzione, una procedura differenziata in funzione del tipo di violazione. Riferendosi alle violazioni costituenti reato e riferite a tributi diretti era previsto l’istituto della pregiudiziale tributaria (x cui l’azione penale non poteva esser iniziata se non dopo l’intervenuta definitività dell’accertamento del tributo in sede amministrativa). Riguardo alle violazioni relative agli altri tributi, se l’esistenza del reato dipendeva dalla risoluzione d’una controversia riguardante il tributo, il Tribunale penale investito della cognizione del reato decideva della controversia relativa al tributo stesso, osservando però le regole di C.p., quindi si decideva il profilo penale e non tanto quello amministrativo sottostante al 1°, secondo il “principio dell’assorbimento”. Questa bipartizione si giustificava in ragione del più elevato tasso di tecnicismo che ineriva i tributi diretti e per cui l’irrogazione della sanzione penale era subordinata al giudizio dell’autorità amministrativa ovvero del giudice speciale tributario in ordine alla fattispecie base sottostante. Nel caso invece di reati connessi a tributi diversi da quelli diretti (es. quelli doganali), si poteva giustificare l’attribuzione al giudice penale della cognizione sia del profilo penale che di quello tributario.

Modifiche alla legge 4 (per il resto inalterata fino a Riforma Visco 1996-1997). La Consulta ha dichiarato incostituzionale la pregiudiziale tributaria, escludendone l’applicazione nei casi di violazioni formali ove non era necessario quantificare l’imposta evasa; la legge stessa spesso ha ignorato il principio di fissità consentendo quindi cumulo materiale tra sanzioni amministrative e penali. A seguito della riforma tributaria degli anni ’70, l’accertamento ha perso la funzione di ordinario strumento di recupero del gettito, per divenire ruolo di monito al corretto adempimento dell’obbligo tributario. In questo modo il sistema ha cominciato a perdere le caratteristiche che si richiedono a un sistema punitivo: prevenzione e esser afflittivo. La legge a quel punto ha: 1) aperto la depenalizzazione riconducendo nell’area dell’illecito amministrativo violazioni che prima erano di rilevanza penale (es. l.689/1981 ha sostituto all’ammenda l’obbligo di pagamento di somma di denaro); 2) è ricorsa al penale per prevenire/reprimere fenomeni evasivi e fattispecie prodromiche dell’evasione (capaci di mettere in pericolo potenzialmente gli interessi erariali); 3) inasprito le sanzioni in tema di violazioni relative a imposte sui redditi a all’IVA (L.516/1982, che ha anche eliminato il principio di fissità e ha anche eliminato la pregiudiziale tributaria, collegando la sanzione penale a fattispecie cosiddette “semplici” (prescindenti dalla concreta determinazione dell’imposta evasa) fondate sull’accertamento di fatti materiali ritenuti sufficientemente espressivi di comportamento evasivo/potenzialmente evasivo.

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