Le leges regiae regolavano, sempre a fini sacrali purificatori, anche la persecuzione privata da parte del gruppo offeso. Importante è la norma attribuita a Numa sull’uccisione volontaria di un uomo libero, la cui sanzione imponeva ai congiunti dell’ucciso di uccidere l’uccisore, per impedire che dalla situazione di impurità dovuta al sangue versato e si sia pagassero della composizione pecuniaria.

Ciò trova conferma nel confronto con la statuizione numana in materia di omicidio involontario, secondo cui l’autore del crimine è obbligato a consegnare un ariete agli agnati dell’ucciso, perché sia sacrificato in sua vece.

Tale normativa rappresenta un momento decisivo dell’evoluzione del diritto criminale Romano:

  1. per la rilevante distinzione tratto volontario e involontario
  2. poiché trasforma l’omicidio volontario in un crimine non suscettibile di composizione del quale la comunità deve essere dedotta
  3. in quanto fissa un limite alla reazione dei parenti dell’ucciso, i quali possono uccidere l’omicida solo se questi ha agito volontariamente
  4. perché pone le basi per una configurazione dell’omicidio quale crimine di interesse pubblico, sanzionato con pena irrogata dallo Stato, dotato quindi di propria individualità rispetto agli altri delitti della vendetta gentilizia

Controversa è l’interpretazione del termine paricidas e della formula paricidas esto. Oggi trova scarso seguito la tesi che dominava un tempo, secondo cui la clausola della lex Numae era volta a estendere la sanzione per il parricidio all’uccisione volontaria di qualunque uomo libero.

Attualmente l’interpretazione che gode di maggior seguito è quella che attribuisce al paricidas un valore passivo. Tale ipotesi si accorda con la statuizione numana per omicidio volontario, la quale prevedeva la dazione dell’ariete in sostituzione del sacrificio del reo.

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