Ogni impegno finanziario dello Stato rivolto al sostegno della scuola privata è escluso in virtù dell’art. 33 c. 3° Cost. che, dopo aver dato ampio riconoscimento al pluralismo scolastico, precisa però che ogni iniziativa scolastica sorge e si sviluppa “senza oneri per lo Stato”.

L’art. 33 c. 3° è spiegabile solo come frutto della considerazione che il settore scolastico privato era (ed è) di quasi esclusiva ispirazione confessionale cattolica, per cui l’intervento finanziario dello Stato finirebbe con il favorire praticamente un solo gruppo ideologico molto forte socialmente.

Bisogna dire però che va prendendo sempre più forza l’esigenza di attuazione del principio della parità scolastica inteso come diritto di accesso al tipo di scuola preferito in condizioni di eguaglianza, e questo suggerisce un’interpretazione più elastica del divieto indicato, nel senso che esso si riferirebbe esclusivamente alla istituzione di scuole private ma non già alla loro gestione.

Diversamente si prospetta il problema, se ci si pone dal punto di vista dei soggetti aspiranti a ricevere l’istruzione.

Bisogna a questo proposito distinguere due ipotesi, a seconda cioè che l’alunno accesa all’istruzione per assolvere ad un obbligo stabilito dalla legge, oppure vi acceda al di fuori e al di là di questo vero e proprio obbligo.

Nel primo caso se indirizzate ai soli alunni che frequentano le scuole pubbliche, sarebbero incostituzionali rispetto all’art. 3 Cost., in quanto “ingiustificatamente discriminatorie”.

Diversa sarebbe la soluzione se la legge che istituisce provvidenze rivolte ad agevolare l’obbligo scolastico facesse “riferimento alla capacità economica del destinatario della provvidenza”.

La consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale considera i diritti sociali come “diritti finanziariamente condizionati”; quando cioè l’intervento a favore di un diritto sociale è oneroso per la finanza pubblica e crea un problema per la disponibilità finanziaria, la selezione nell’impiego delle risorse “rientra nella discrezionalità del legislatore, che non può essere sindacata in sede di giudizio di legittimità costituzionale se non quando emerge la manifesta irrazionalità della relativa normativa”.

Ebbene, non appare irrazionale l’atteggiamento del legislatore che destina i fondi per il diritto allo studio prioritariamente alle scuole pubbliche.

Il diritto allo studio non è assolutamente “un diritto concretamente esigibile e fondamentale”, bensì è un diritto subordinato al bilanciamento con altri beni ugualmente protetti dalla Costituzione.

Organizzazione non lucrative di utilità sociale. Sono tali associazioni ed enti i cui statuti o atti costitutivi prevedono espressamente lo svolgimento di attività nei campi dell’assistenza sociale e sanitaria, della beneficenza, istruzione e formazione e altro ancora, proponendosi “l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale”. Siccome cioè gli utili ricavati dall’attività svolta non vengono distribuiti ai membri, bensì vengono destinati ad uno scopo altruistico, solidaristico, l’ordinamento istituisce “un regime fiscale agevolato”, ossia non grava delle imposte irpeg ed iva i redditi e i guadagni derivanti da tali attività.

È evidente che di queste possibilità potranno fruire tutti gli organismi religiosi che perseguono fini solidaristici, ivi compresi gli enti confessionali.

Da notare che, in relazione a questi ultimi enti, quand’anche essi non rispondessero ai requisiti richiesti per essere riconducibili alla specifica categoria delle organizzazioni non lucrative sociale, comunque essi potrebbero essere ricondotti alla più generale categoria degli enti non commerciali, degli enti cioè non svolgono attività produttiva di ricchezza; e come tali fruire delle esenzioni ed agevolazioni tributarie previste dalla normativa disciplinatrice delle o.n.l.u.s.

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