Nell’ambito dell’amministrazione periferica, una grandissima importanza è ricoperta dal praefectus urbi. Egli è secondo soltanto al prefetto del pretorio. Esponente dell’alta aristocrazia, egli presiede il senato e controlla che essi adempiano ai loro oneri fiscali. Possiede un generale potere di sorveglianza sull’ordine pubblico e sull’amministrazione dell’Urbe, potere che esercita tramite funzionari di rango inferiore. Notevoli sono anche i suoi poteri giurisdizionali sia in campo civile che penale. Oltre ad una giurisdizione in primo grado, ha il potere non soltanto di giudicare in grado d’appello le cause decise dai giudici a lui inferiori appartenenti al suo distretto ma anche quello di giudicare le cause decise, in primo grado, da governatori di alcune province d’Italia.

Per quanto concerne l’amministrazione periferica dell’impero, esso si presenta diviso in 4 ampie circoscrizioni territoriali, dette prefetture, governate da un prefetto del pretorio ciascuna. A sua volta, ogni prefettura è divisa in più diocesi, governate ciascuna da un vicario, le quali sono frazionate in più province, rette da proconsules, consules e praesides.

E in questo quadro, il prefetto del pretorio è sicuramente l’autorità di rango più elevato nell’ambito dell’amministrazione periferica. Egli possiede poteri di vigilanza e di controllo sulle diocesi e sulle province incluse nella sua prefettura: spesso ha il compito di comunicare ai governatori le costituzioni inviategli dall’imperatore. Ha il potere di emettere ordinanze che hanno valore legislativo purchè non siano in contrasto con le costituzioni. Esercita la giurisdizione vice sacra in luogo dell’imperatore, in grado d’appello contro le sentenze emesse dai governatori delle province.

Fondamentali risultano essere anche le sue attribuzioni in ambito finanziario, in quanto gli spetta l’importante compito di determinare l’ammontare complessivo dell’annona, di curarne la riscossione, servendosi della collaborazione di alcuni funzionari.

In modo più immediato, il controllo sulle province è effettuato dai vicarii, posti a capo delle diocesi. Godono di una certa autonomia nei confronti del prefetto del pretorio, nel senso che le sentenze emesse dai vicari vanno impugnate non davanti ai prefetti ma dinnanzi all’imperatore. Le loro funzioni di vigilanza sulle province si estendono anche in ambito finanziario, in quanto viene dato ai vicari la facoltà di sorvegliare la riscossione delle imposte. Infine, vi sono i governatori che, senza dubbio, appartengono ad un rango meno elevato e possiedono nomi diversi in base alle loro competenze loro attribuite. Essi possiedono competenze in ambito amministrativo, giurisdizionale, fiscale.

Nell’ambito dell’amministrazione locale, invece, facciamo riferimento :

– Al curator civitatis, nominato dall’imperatore, è responsabile dell’ordine pubblico e possiede poteri giurisdizionali.

– Al defensor plebis, che inizialmente possedeva il compito di difendere la plebe, ora si caratterizza per l’attribuzione di poteri di polizia e di formazione dei ruoli delle imposte. Inoltre, sorveglia l’esazione dei tributi, raccoglie e certifica in forma ufficiale i reclami dei cittadini, attraverso gli esattori.

– I consigli municipali o curie formati da cittadini aventi un determinato patrimonio immobiliare. La partecipazione alle curie si fonda sui principi dell’ obbligatorietà e dell’ereditarietà: il possidente, in quanto tale, non può rifiutarsi di far parte del consiglio cittadino e a questo saranno legati anche i suoi figli al compimento del 18 anno di età. A parte il compito di nominare i magistrati cittadini, la funzione più importante da loro assolta è quello di formare i ruoli delle imposte per ciascun contribuente, di provvedere quindi alla loro riscossione attraverso la collaborazione degli esattori, scelti fra i decurioni e responsabili in caso di mancata esazione.

– Infine, vi sono le assemblee provinciali, costituite da delegati delle varie città della stessa provincia. Esse eleggono il sacerdos provinciae, incaricato di gestire i giochi e gli spettacoli pubblici.

Nel lungo regno di Giustiniano I, sono individuabili diversi cicli. Sul piano strettamente politico, con riferimento alla politica interna e a quella estera, il regno giustinianeo viene suddiviso in due fasi:

  1. La prima fase, la più proficua, può ritenersi compresa fra gli inizi del regno ed i l 540-541 circa: nel 540,infatti, con la pace di Ravenna si era appena conclusa la guerra giustinianea condotta in Italia contro i Goti, mentre il 541 è l’anno della morte del maggior ministro di Giustiniano, Giovanni Cappadocia.
  2. La seconda fase, invece, parte dal 540­541 e giunge sino al 565: essa si caratterizza per una minor spinta espansionistica e per un  rafforzamento delle posizioni acquisite.

Sotto il profilo religioso, dove tali periodizzazioni divengono ancora più sfumate, va detto che il problema centrale rimase quello del monofisismo, una domina sconfessata dal Concilio di Calcedonia del 451, la quale sosteneva la presenza in Cristo di una sola natura, avendo quella divina assorbito l’umana. Giustiniano continuò a tenere l’atteggiamento antimonofìsita di Giustino, suo zio, anche se si rivelò  più flessibile: egli non cessò mai di cercare un compromesso con la parte più moderata dei monofisiti.

In particolare, nei primi anni dell’impero, Giustiniano si era sforzato di non colpire penalmente i monofisiti: soltanto a partire dal 536, iniziarono le persecuzioni. Nel 543-544, Giustiniano emanò un editto che fungeva da strumento di riconciliazione tra calcedoniani e Monofisiti.

Si tratta di un editto di 3 capitoli, che condannava teologi e scritti teologici del secolo precedente, cercando almeno in parte di andare incontro ai monofisiti. In realtà non si raggiunse lo scopo sperato, in quanto l’editto scontentò sia i calcedoniani che i monofisiti

Sotto il profilo dell’attività giuridica, invece, fondamentale risulta essere la divisione del regno giustinianeo in tre periodi:

– Un primo periodo, dal 528 al 534, contrassegnato dalle grandi compilazioni e cioè dalla preparazione e pubblicazione del primo Codice, del Digesto, delle Istituzioni e del secondo Codice.

– Un secondo periodo,  dal535 al 541-542, caratterizzato da un’intensa legislazione corrente

– Un terzo periodo, dal 543 al 565, in cui l’attività legislativa si fa sempre più scarsa e scadente.

Va comunque analizzata la storia postclassica dei iura. Nei secoli della crisi giuridica si era consolidata la convinzione che il diritto imperiale, senza gli iura, rischiava di essere privo di ogni tessuto connettivo. Pare, dunque, evidente come la storia giuridica postclassica finisca per valutare la non eliminabilità degli iura. Il regno di Giustiniano appare così caratterizzato dal tentativo di restaurazione dell’impero e sistemazione dei iura.

Tuttavia, l’atteggiamento dell’imperatore verso l’antiquitas è ambivalente: se l’atteggiamento prevalente è quello della reverentia antiquitatis; non manca, tuttavia, in alcuni casi, la rampogna verso il passato, talora identificato con un vero e proprio formalismo.

Occorre, inoltre, comprendere se gli iura potessero realmente possedere una portata giuridica equivalente a quella della leges, avendo gli stessi brani inseriti nel Digesto, lo stesso valore normativo delle costituzioni imperiali. Molto sì é parlato del fondamento del potere imperiale.

L’imperatore altro non è che il rappresentante di Dio in terra e quindi oggetto di venerazione, a sua volta. Il suo compito-dovere consiste più che nel bene dei singoli, nella realizzazione della monarchia universale.  Al fine di perseguire tale obiettivo, le leggi stesse e l’ordinamento possiedono una loro particolare struttura. Monarchia universale è sinonimo di ritorno al passato. Naturalmente, il potere imperiale non trae fondamento semplicemente dai rapporti col passato e dal rapporto con le altre entità sovrane. Pare abbastanza evidente che le idee-guida di questo ordinamento siano quelle di taxis e di oikonomia.

La prima indica l’ordine, la seconda un modo migliore di condurre le cose. Fra le due idee, sicuramente, la migliore è la taxis, espressione di una società e di un mondo fortemente gerarchizzati.

L’ordine, inoltre, esige pochi cambiamenti e quindi, un’organizzazione sociale tendenzialmente stanca e pacifica.

La variante ammessa all’ordine è quella meritocratica. In un sistema sociale del genere, è ovvio che la democrazia, intesa come potere indifferenziato del popolo, è vista con estremo sospetto.

Per restare in un campo giuridico, è opportuno scomporre il potere imperiale in singoli poteri corrispondenti alle diverse funzioni che fanno capo all’imperatore. Più che il potere giudiziario che tende sempre più a declinare e più che il potere governativo, è utile analizzare il potere legislativo: ciò equivale a riconoscere la teoria giustinianea delle fonti di produzione del diritto. Al centro di tale teoria vi è l’intento di presentare l’imperatore come fonte di produzione, se non esclusiva, almeno in gran parte dominante.

Forse più dibattuta è la questione del Fondamento del potere legislativo: alla tesi dell’origine divina di questo potere, si affianca, infatti, quella del suo conferimento popolare, anche se fra le due tesi, la prima è sicuramente più vicina al pensiero giustinianeo, tanto che fondamentale è il rapporto fra Dio e l’imperatore. Correlativamente al potere legislativo, l’imperatore dispone anche di un potere interpretativo le cui caratteristiche sono quelle dell’esclusività, nel senso che sono destinate a non assumere alcuna importanza tutte le altre interpretazioni, compresa quella dottrinale, e dell’autenticità, venendo fra l’altro fornita l’interpretazione con una nuova legge imperiale, tutto questo comporta alcuni problemi, anche perché potrebbe apparire in contrasto con un altro dato legislativo, e cioè con abolizione della consultatio ante sententiam, alla quale  il giudice ricorreva, rivolgendosi all’imperatore, quando non si sentiva in grado di decidere la controversia deferitagli.

Sicuramente la figura di Giustiniano risulta essere affiancata da personalità di grande rilievo, come Triboniano e Giovanni di Cappadocia. Sorge a questo punto legittimo domandarsi se la fioritura contestuale di questi personaggi sia dovuta soltanto al caso o possa essere attribuita a Giustiniano e alle sue scelte.

A questo interrogativo non è semplice dare una risposta, anche se non  sembra possa negarsi una certa parte di merito all’imperatore che vitalizza e sprona i suoi collaboratori.

Il quaestor sacri palatii possedeva funzioni di ministro di giustizia. Uno dei più celebri è Triboniano, figura centrale delle compilazioni e della legislazione. Sembra che durante i lavori per il primo codice, Triboniano ebbe occasione di mettersi in luce, meritandosi per le sue capacità la nomina a quaestor sacri palatii. La prima testimonianza sicura della sua questura risale al 529 ed è possibile che sin dal momento della sua nomina, egli abbia incominciato a coltivare il progetto della raccolta degli iura. La rapida carriera di Triboniano è dovuta per lo più alle sue capacità, nonostante il suo atteggiamento adulatorio nei confronti di Giustiniano. Con la rivolta di Nika, anche Triboniano viene travolto e dopo il 535 riottenne la sua carica di quaestor, a differenza di Giovanni che riacquista la sua carica in poco tempo.

A partire dal 535 sembra sempre più acuto il divario fra Triboniano e Giovanni di Cappadocia. Il primo, essendo particolarmente apprezzato dall’imperatore, riuscì ad assumere un ruolo centrale nelle compilazioni. Il secondo, invece, prevaleva nelle decisioni più importanti in ambito politico. Inoltre, diverse erano le loro personalità: Triboniano era favorevole alla conservazione del latino come lingua ufficiale mentre Giovanni indirizzava le sue preferenze verso il greco ( si ipotizza, per questo motivo, che si sia dedicato lui alla redazione delle Novelle).

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