Il riesame costituisce un’impugnazione completamente devolutiva, che permette all’imputato di ottenere il controllo giurisdizionale sulla legittimità e sul merito del provvedimento che applica una misura coercitiva ab initio. Il tribunale, quindi, ha il potere di valutare la misura senza essere vincolato da eventuali motivi del ricorso dell’imputato o dalla motivazione del provvedimento che ha applicato la misura (art. 309 co. 9). Il procedimento di riesame deve svolgersi entro termini brevi e perentori, a pena della perdita di efficacia della misura coercitiva (co. 10).

Il riesame, consistendo nell’impugnazione di un provvedimento che applica per la prima volta una misura coercitiva, non ha ad oggetto l’intero rapporto giuridico attinente alla libertà personale dell’indagato. Non può pertanto formare oggetto di riesame la misura cautelare disposta dal tribunale della libertà all’esito dell’appello proposto dal pubblico ministero contro il provvedimento che aveva negato l’applicazione della misura cautelare (co. 1). In questo caso l’imputato può avvalersi soltanto del ricorso per cassazione.

 Il procedimento di riesame può essere scisso nelle seguenti fasi:

  • la richiesta di riesame deve essere presentata alla cancelleria del tribunale della libertà entro dieci giorni, a pena di inammissibilità. Tale termine, in particolare decorre:
    • per l’imputato (co. 1) dall’esecuzione o dalla notificazione del provvedimento;
    • per il suo difensore (co. 3) dalla notifica dell’avviso di deposito dell’ordinanza che dispone la misura.

La richiesta di riesame può contenere i motivi per i quali l’imputato chiede che il provvedimento sia annullato o modificato, ma può anche essere non motivata (co. 6);

  • il pubblico ministero, informato dal presidente del tribunale delle libertà, deve trasmettere al tribunale entro cinque giorni dalla richiesta di riesame (co. 5):
    • gli atti presentati quando aveva chiesto a suo tempo la misura coercitiva;
    • tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini;
    • il tribunale ha un potere cognitivo molto limitato, potendo decidere unicamente sugli atti scritti presentati dal pubblico ministero (co. 7). In seguito alla l. n. 332 del 1995, tuttavia, il pubblico ministero deve trasmettere tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini . L’udienza si svolge in camera di consiglio (co. 8 ex art. 127), secondo una procedura che di fatto elimina un effettivo potere di controllo sull’applicazione della misura coercitiva (es. non possono essere assunte prove non rinviabili). Il tribunale, comunque, può pronunciare quattro tipi di decisione(co. 9):
      • l’inammissibilità della richiesta di riesame;
      • l’annullamento dell’ordinanza che impone la misura cautelare;
      • la riforma della misura, ma soltanto in modo più favorevole all’imputato;
      • la conferma della misura, anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento originario o da quelle addotte dal ricorrente.

Da quest’ultima espressione la giurisprudenza ha dedotto che il tribunale può perfino rimediare ai difetti di motivazione dell’ordinanza che ha applicato la misura coercitiva. Soltanto a questo punto, quindi, l’imputato conosce effettivamente i motivi per i quali è stata limitata la sua libertà personale, tuttavia non dispone più di un mezzo di impugnazione per ottenere un controllo di merito sugli stessi, potendo soltanto presentare ricorso per cassazione per violazione di legge;

  • il tribunale deve depositare il dispositivo della sua decisione entro dieci giorni dalla ricezione degli atti.

Qualora non vengano rispettati i due termini perentori di cinque e dieci giorni, posti evidentemente a favore dell’imputato, le misure coercitive perdono efficacia (co. 10).

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