Mancata tutela della parte civile

La parte civile è il soggetto maggiormente sacrificato dal patteggiamento. Ai sensi dell’art. 444 co. 2 il giudice, quando accoglie la concorde richiesta dell’imputato e del pubblico ministero, non può decidere sulla richiesta del risarcimento del danno derivante dal reato. Il patteggiamento, quindi, non rende giustizia al danneggiato, che è costretto ad iniziare un defatigante processo civile.

Sempre ai sensi dell’art. 444 co. 2, comunque, il giudice, quando accoglie la concorde richiesta di applicazione della pena, deve condannare l’imputato a risarcire le spese processuali sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi di compensazione.

Effetti comuni

Se con riferimento agli effetti processuali non si pongono particolari difficoltà, maggiori problemi sorgono in relazione agli effetti penali, poiché sul concetto non vi è chiarezza né in dottrina né in giurisprudenza. Il vuoto interpretativo è stato colmato dallo stesso legislatore che successivamente al 1988 ha precisato in vari testi normativi che la sentenza di applicazione della pena su richiesta ha determinati effetti alla pari di una sentenza di condanna.

Ai sensi dell’art. 445 co. 1 bis, salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna . Il fatto che il codice utilizzi il termine equiparata induce a ritenere che non si tratti di una condanna in senso proprio. Il codice nel 1988, quindi non ha voluto qualificare come condanna la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti.

Negli anni successivi, tuttavia, il legislatore si è pentito ed ha ricollegato alla sentenza quasi tutti gli effetti sostanziali e processuali di una sentenza di condanna. L’imposizione recepita dal codice del 1988, peraltro, ha sollevato una serie di riserve di legittimità costituzionale, soprattutto con riferimento al principio della nulla poena sine iudicio: saremmo infatti in presenza di un meccanismo in forza del quale la sanzione penale verrebbe applicata a prescindere da una condanna e, quindi, da un accertamento di responsabilità nei confronti di un imputato.

Natura della sentenza di patteggiamento

Sulla configurabilità di un obbligo del giudice di operare un accertamento della responsabilità dell’imputato, quando accoglie la concorde richiesta delle parti, si registra una marcata divaricazione tra opposti filoni interpretativi: a quanti ritengono indispensabile un accertamento del genere, infatti, si oppongono coloro che negano la configurabilità di un accertamento giudiziale, anche soltanto implicito.

In seguito alla l. n. 134 del 2003, tuttavia, la sentenza che accoglie il patteggiamento può applicare una pena detentiva fino a cinque anni. Alla luce di questa riforma, risulta più difficile sostenere che si possano irrogare anni di carcere senza un accertamento neanche implicito del fatto e, di conseguenza, della colpevolezza dell’imputato. Considerato il mutamento di rotta operato dal legislatore, quindi, appare auspicabile che la giurisprudenza e la dottrina possano ritornare a condividere quella tesi, più equilibrata, che era stata sostenuta a suo tempo dalle Sezioni unite della cassazione, secondo la quale la sentenza che accoglie il patteggiamento contiene un accertamento quanto meno implicito.

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