Il giudizio amministrativo è stato concepito storicamente come giudizio di impugnazione di un provvedimento. La sentenza che accoglie il ricorso e annulla il provvedimento, quindi, è stata a lungo considerata come l’espressione tipica della funzione giurisdizionale amministrativa:

  • il nucleo della sentenza di annullamento è stato a lungo identificato con l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato in relazione a determinati vizi enunciati nel ricorso. La sentenza di annullamento contiene quindi un elemento significativo di accertamento, che inerisce alla sussistenza di un certo vizio di illegittimità;
  • un’altra concezione, pur identificando come centrale il momento dell’accertamento, si concentra in modo particolare sulla situazione giuridica tutelata nel processo: la sentenza di annullamento, infatti, accerta la lesione di un interesse legittimo. L’illegittimità del provvedimento, determinata da un vizio specifico, rappresenta un profilo dell’indagine, ma l’accertamento del giudice non inerisce a fenomeni oggettivi (es. vizi), ma alla relazione giuridica e alla posizione soggettiva dell’interesse legittimo. Secondo questa concezione, in particolare, la posizione soggettiva non identifica un fattore di legittimazione, ma l’oggetto principale del giudizio.

Nel dibattito alcuni punti sembrano acquisiti:

  • l’accertamento (dell’illegittimità del provvedimento o della lesione dell’interesse legittimo) costituisce il nucleo essenziale della sentenza di annullamento del giudice amministrativo;
  • la sentenza di annullamento del giudice non deve essere considerata solo nella prospettiva dell’eliminazione di un atto amministrativo: il potere amministrativo non si esaurisce per effetto della sentenza che accolga il ricorso, dal momento che in molti casi un nuovo esercizio del potere risulta necessario per attuare la sentenza. A tale esigenza la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di dare un riscontro identificando effetti della sentenza di annullamento ulteriori rispetto all’eliminazione del provvedimento impugnato. Si tratta di effetti che non hanno carattere reale ma obbligatorio, nel senso che costituiscono a carico dell’amministrazione doveri di condotta.

Al riguardo appare significativa la sistematica proposta da alcuni autori (Nigro), la quale individua tre ordini di effetti della sentenza di annullamento:

  • un effetto eliminatorio (o caducatorio): la sentenza di annullamento comporta l’eliminazione dalla realtà giuridica del provvedimento annullato, annullamento che determina il venir meno degli effetti prodotti dal provvedimento stesso;
  • un effetto ripristinatorio: la sentenza di annullamento opera ex tunc, non eliminando solo dalla realtà giuridica attuale il titolo che determina un certo assetto di interessi, ma imponendo che tale assetto di interessi sia eliminato fin dall’origine;
  • un effetto conformativo: l’accertamento contenuto nella sentenza non può essere disatteso dall’amministrazione. Per assicurare un’utilità reale alla sentenza, peraltro, è necessario che tale accertamento non venga limitato ad una singola espressione del potere amministrativo, ma vincoli l’amministrazione nella fase successiva, di riesercizio del potere (rinnovazione del procedimento): l’accertamento del vizio, infatti, equivale all’affermazione di una regola che l’amministrazione è tenuta a rispettare quando riesercita il potere. Con riferimento a tale effetto conformativo, Nigro aveva proposto una classificazione delle utilità conseguibili attraverso la sentenza di annullamento:
    • se l’annullamento è disposto per un vizio di legittimità sostanziale, come tale inerente alla legittimità del contenuto dell’atto impugnato, l’amministrazione non può emanare un nuovo provvedimento con quel contenuto (es. annullamento di un provvedimento di esproprio per violazione di una norma che esclude quei beni particolari all’esproprio);
    • se l’annullamento è disposto per un vizio di legittimità formale, questo non impedisce di per sé l’emanazione di un nuovo atto con lo stesso contenuto, purché l’atto stesso sia emendato dai vizi accertati nella sentenza.

L’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990, introdotto dalla l. n. 15 del 2005, esclude l’annullamento del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata per provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso. Lo stesso art. 21 octies, peraltro, esclude l’annullamento del provvedimento adottato in assenza della prescritta comunicazione di avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri che in giudizio il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

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